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C’era una volta l’aria di Calabria. Tersa e lucente. Profumata di piante e di cucina. Anche con lo scempio delle coste, i paesi abbandonati, la tristezza delle case lasciate per anni come scheletri di ferro e cemento. Nonostante, magari, i cumuli di spazzatura invecchiati per strada.
Quest’agosto l’aria di Calabria richiama il peggio di Londra dell’epoca dello smog. Grigia. Pesante. Una caligine densa, che sa di bruciato e di sporco. Una cappa che stringe la gola e rallenta i pensieri.
Fumo di incendi vicini e lontani. Le campagne intorno che bruciano, incendi anche sulla spiaggia e le immagini – terribili – dei paesi vicini.
L’Etna, il sole e le stelle scomparsi in tanta nebbia.
E, sopra e dentro la testa, il rumore – angosciante – di aerei ed elicotteri antincendio che, ininterrottamente, prendono acqua nel mare davanti casa.
La sensazione, acuita da un caldo eccessivo anche per noi e dai dati in crescita del contagio da pandemia, è quella di un’apocalisse ormai prossima ventura.
Come impedire che questa catastrofe sia, davvero, un passo chilometrico verso il precipizio? Che fare perché si trasformi in una ripresa di vita, di una vita migliore?
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