L’ultima vendemmia cui ho partecipato, lo scorso
anno, nell’avellinese, dovetti firmare un modulo in cui dichiaravo di esserci a
solo titolo amichevole. Mi sembrò una corretta forma di difesa nei confronti
degli operai veri, e nello stesso
tempo, mi stupii di dover dichiarare qualcosa che, nella mia mente, era così
ovvio.
C’erano dei raccoglitori diciamo così professionali, e c’era un gruppetto di
amici arrivati da varie parti a dare una mano all’amico che, da qualche anno,
aveva impiantato un vigneto. Ogni amico si presentava con un ruoto di cibo da
condividere a pranzo. Un lavoro come una festa, qualcosa che, consapevoli o
meno, in tutti richiama(va) il banchetto paradisiaco.
La prima vendemmia, invece, ero in Calabria, in
un paesello attaccato al mio ed ero abbastanza piccola da essere, insieme agli
altri bambini, tra i fortunati che potevano schiacciare l’uva raccolta con i
piedi. Una sorta di ballo estasiante, mezzi intontiti dall’odore del mosto, lo
scalpiccio come una musica piena di vita, il liquido che scorreva in piccoli
canali, gorgogliante come il cicaleccio intorno. E, prima e dopo, il pane di
grano e il salame.
Ma quello che più ricordo delle vendemmie – m’è tornato
in mente quando un amico, che vive anche lui fuori, mi ha detto che tornerà a
Reggio per la vendemmia – sono i giorni successivi.
Quando la cucina di casa acquisiva un odore di
vino intenso, quasi stordente. C’era da preparare il vino cotto, portando il
mosto a bollitura e riducendolo ad un terzo, per poi utilizzarlo per i petrali, ma anche, nel caso, come
sciroppo. E c’era da riempire piatti e piattini di mostarda, una crema di mosto, che niente ha a che fare con le mostarde del Nord.
Il primissimo mosto veniva subito lavorato con la
farina (o con la fecola), profumato di buccia di mandarino tagliuzzata, versato
nei contenitori pronti ad essere portati in tavola e ricoperto di granella di
mandorle. Aveva la consistenza d’una gelatina, un colore di rubino, un sapore e
un odore che sapevano di bellezza. Quella delle piccole cose trasformate in
ricchezza, nutrimento dei sensi e dell’anima.
Foto di Giuseppe Laganà
Foto di Giuseppe Laganà
Nessun commento:
Posta un commento