venerdì 20 maggio 2022

Microstorie: Sorelle che invecchiano

 


1.

Rosabianca e Rosaspina dovevano i loro nomi alla passione che la madre aveva per le rose. Avevano quattro anni di differenza, ma erano vissute in simbiosi, soprattutto da quando, dopo la morte del padre e la malattia invalidante della madre, s’erano aggrappate l’una all’altra come ad un’ancora sicura. Rosabianca s’era da poco laureata in lettere e aveva iniziato a fare supplenze che s’erano via via allungante nel tempo fino all’ingresso in ruolo. Rosaspina, che s’era diplomata quell’anno col miglior risultato di tutta la sua scuola, aveva pensato che era il momento di portare anche lei qualche soldo a casa. Aveva, perciò, rinunciato alla laurea e aveva trovato lavoro come maestra: prima nel privato e poi nel pubblico. Entrambe s’erano dedicate all’insegnamento come una missione, trovando, nel rapporto con i ragazzi, una pienezza più che soddisfacente. Morta anche la madre, nessuna delle due aveva pensato di rompere e neppure di allentare quel connubio che garantiva loro la sicurezza di un nido. La serenità s’era appannata quando, con la pensione, entrambe avevano avvertito i vuoti prima colmati o, almeno, tappati, dal lavoro. Abituate alla disciplina delle emozioni, s’erano, però, adoperate a mantenere un atteggiamento sereno, scevro di recriminazioni e punteggiato da una pacata operosità. La casa sempre in ordine, i pochi vestiti fatti resistere per anni, gli avanzi del pranzo consumati a cena, riservate ma generose nel condividere gioie e dolori dei vicini, erano invecchiate quietamente – quasi attempate signorine d’altri tempi – attente l’una alle esigenze dell’altra. Non avevano segreti, se non la serpeggiante preoccupazione che inquietava le loro notti. Una delle due sarebbe morta per prima, fortunata lei. Ma, come avrebbe potuto, la sopravvissuta, affrontare quel sovrappiù di pena che, solo a pensarci, toglieva il respiro?

 

 


 

2.

Quando Alessandra rimase vedova, Daniela le fu molto vicina. Due anni dopo, quando rimase vedova Daniela, Alessandra ricambiò le attenzioni. Se qualcuno avesse osservato che, forse, avrebbero potuto vivere insieme, entrambe avrebbero alzato le sopracciglia, respingendo l’ipotesi: Alessandra era legata alla sua casa, come Daniela lo era alla sua, non avrebbero certo rinunciato ai loro spazi conosciuti e amati. Tutte e due ormai in pensione, avevano svolto lavori di un certo prestigio sociale e mantenevano entrambe una quotidianità ricca di incontri e di attività. Quando la sera chiudevano a doppia mandata il portone di casa, non potevano, però, non avvertire il peso del vuoto gravare nel petto. Enrico, il figlio di Alessandra, e Silvia e Giacomo, i figli di Daniela, vivevano all’estero e facevano solo rapide incursioni in casa delle madri talvolta in compagnia di fidanzati/e che mai si sarebbero trasferiti per più di qualche giorno in quel luogo. Ci volle del tempo – ma non troppo – perché Alessandra e Daniela, senza mai parlarne tra di loro, maturassero la stessa scelta di un nuovo inizio. Lasciarono le rispettive case ai figli e presero in affitto un appartamento ampio e comodo per loro. Ognuna, oltre alla cucina e a due camere da giorno in comune, aveva per sé un bagno e un’ampia camera che faceva da stanza da letto e da studio. Riorganizzarono le loro vite, dandosi libertà e autonomia nella conduzione della giornata, ma con tempi condivisi che diedero confini all’irrimediabile vuoto. I ricordi della comune giovinezza aggiunsero tempo alle loro vite, rendendo più lento e sereno il loro invecchiare.

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