Arrivati ormai all’ottavo
episodio, non ho dubbi che la seconda stagione di Gomorra la serie mi piace almeno quanto la prima.
Di solito, non reggo più
di qualche minuto spettacoli in cui il sangue scorre come acqua, ma mi
dispiacerebbe non vedere Gomorra. Perché
è scritto bene, è girato bene, è recitato bene. Perché fa una scelta narrativa
chiara – raccontare il male dalla parte del male – e lo fa senza infingimenti:
in maniera cruda, spietata: morale, senza moralismi. E' capace di raccontare
personaggi dalle psicologie più sfaccettate rispetto alla ripetitività dei loro
crimini. E' uno spettacolo avvincente e mi da spunti di riflessione sulla realtà.
I ragazzi di Nisida, con
cui ho lungamente discusso sulle ricadute della fiction sull’atteggiamento dei
più giovani, mi hanno più volte ripetuto che:
-
a loro la fiction (che tutti loro aspettano
di vedere appena arriverà sulla tv pubblica, su cui hanno seguito la prima
stagione) non dice nulla di nuovo rispetto a cose che conoscono, che hanno vissuto,
anche se in maniera indiretta (fanno delle comparazioni tra i personaggi della
fiction e persone reali, esponenti più o meno di rilievo della camorra);
-
ma, per “quelli più piccoli” è “uno
spettacolo negativo; i ragazzini vedono e si atteggiano, si vestono come
Genny e pensano di potersi comportare pure loro così” (e, qualcuno aggiunge
che lo spettacolo è negativo anche in termini di immagine della città: “noi già
stiamo inguaiati, e così all’estero più pensano che siamo inguaiati”).
Posizione, quest’ultima,
non diversa da quella dei tanti (compresi alcuni magistrati) che hanno
denunciato il carattere antieducativo della
fiction.
Ma Gomorra è davvero antieducativa?
Non lo è, certamente, per
chi, quando e più vede il male, più auspica e cerca il bene: e si pone, magari,
domande su come la società possa uscire da meccanismi che coinvolgono una parte
della propria città (ma, anche, del proprio paese e del mondo intero).
Lo è per chi (solo
talvolta per la giovane età) non ha sufficienti strumenti di lettura della fiction, e, in generale,
del rapporto tra realtà e finzione. Che è, di solito, lo stesso
che non ha sufficienti strumenti di lettura di quanto la tv manda in onda
(comprese trasmissioni decisamente antieducative
in cui non passa alcuna immagine formalmente violenta, ma che inoculano
dosi massicce di volgarità, che non migliorano di certo la qualità della vita
della collettività).
Il problema non è Gomorra – che potrebbe, addirittura,
avere la funzione opposta, quella educativa
spingendo ad odiare il male (come sono tristi, questi eroi malefici che cadono
come birilli uno dopo l’altro, in che abiti inumani si costringono a vivere) e
ad agire per cambiare le tante cose che vanno cambiate (le lividi immagini
della periferia napoletana sono di per sé un urlo contro il degrado di certi
luoghi).
Il problema, piuttosto, è
una sorta di deficit culturale e, più
in generale, di una insufficiente attenzione ai tempi e ai modi del crescere. Che
fa sì che anche i bambini piccoli, a causa dell’indifferenza delle loro
famiglie, vengano esposti a visioni che, per contenuti ed immagini, non sono
adatte ad un pubblico facilmente impressionabile (bambini lasciati per strada
in ore in cui si presume che, a una certa età, sarebbe più opportuno stare a
casa).
Qualcosa potrebbe fare la
scuola, anche durante la prevista apertura estiva, con dei brevi corsi di lettura cinematografica e televisiva.
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