Dall’ultimo banco: la Chiesa, le donne, il sinodo di Lucetta
Scarraffia, pubblicato recentemente da Marsilio è un saggio breve e denso, che
meriterebbe d’essere discusso ampiamente negli ambienti cattolici pensanti (che non sono tantissimi:
dentro e intorno alle parrocchie manca raramente, e meno male, un’attività caritativa, ma non si produce molta
riflessione, il che vuol dire che raramente si riesce a dare senso all’esistente)
e anche in quelli di donne, che continuano a pensare se stesse in relazione alla storia, al tempo presente e
alla fede.
Il filo conduttore della
Scarraffia è la convinzione che solo riconoscendo alle donne (donne che,
peraltro, nell’ultimo mezzo secolo se ne sono ampiamente allontanate), il ruolo
che loro compete (un ruolo più forte, pur senza intaccare il sacerdozio
maschile) potrebbe (ri)trovare nuova vitalità un’istituzione irrigidita (imbalsamata?)
in schemi che non parlano più al nostro mondo e, di conseguenza, diventata di
fatto irrilevante per la maggioranza
degli europei.
La parte più ampia della sua
riflessione – che parte dalla dimenticanza
che la chiesa ha della sua stessa storia (il che, per la Scarraffia, si
identifica con la falsa percezione dell’identità come immobilismo, tradendo, in
tal modo, la stessa Incarnazione, che avviene dentro la storia) – riguarda l’affermarsi, ormai da tempo, di
teorie che negano e/o disconoscono la diversità
maschio/femmina mescolandoli in un individuo indifferenziato, risultato di un’evoluzione culturale che esclude
la biologia.
L’autrice, nettamente a favore
di un’uguaglianza tra i sessi che
tenga conto della diversità (una
diversità che arricchisce sia la donna che l’uomo), innesta, sull’argomento,
una serie di corpose riflessioni che, come già ho detto, meriterebbero, qualunque sia la propria opinione, un
dibattito. Certamente, un dibattito nelle chiese, ma anche un dibattito tra le
donne che si fanno domande sul loro essere: da dove vengono e dove intendono
andare.
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