martedì 14 giugno 2016

Gomorra 2 e i simboli della religione (visti da Nisida)







Quindici anni fa non c’era ragazzo di Nisida che non manifestasse una qualche forma di devozione a padre Pio. Si esibivano medagliette, santini e braccialetti-rosari, decine che riproponevano, da più angolazioni, il faccione del santo. 

Oggi, il segno religioso più evidente è il rosario: sfoggiato al collo, talvolta con i grani ben distesi sul petto e il crocefisso nascosto dentro la camicia, oppure tatuato su un braccio, mescolato ad altri, contradditori, disegni (fiori, nomi di donna o, anche, di un fratello, di un cugino, qualche pistola, frasi che inneggiano all’onore, alla famiglia, alla camorra).

In questi ultimi anni, anche nel rapporto più complessivo tra ragazzi di Nisida e religione sono cambiate molte cose: prima, la maggioranza si diceva credente, esprimeva stima per il Papa e la Chiesa, se pensava al matrimonio lo vedeva celebrato dal prete; oggi, una larga parte dei minori ristretti si dice, se non del tutto atea, perlomeno indifferente a un discorso religioso, è molto critica nei confronti della Chiesa (in particolare per le sue ricchezze) e dei preti (escludendo, però, dalle critiche il cappellano: “lui è bravo assai”) e pensa di sposarsi, nel caso, solo civilmente.

L’erosione del senso religioso, che riguarda tutta la società, si manifesta, quindi, anche in settori inseriti nel sistema camorrista non necessariamente di fatto, ma di certo sul piano culturale, delle idee, dei modi di essere e di proporsi.

Un’erosione che lascia spazi a forme residuali, in qualche modo scaramantiche. Per cui il rosario al collo o anche la Madonna tatuata costituiscono un amuleto tra tanti amuleti, una specie di moltiplicazione del corno scaccia malocchio e porta fortuna.

(Naturalmente, questo è un discorso di carattere generale che non tiene conto di gesti di alcuni che, al contrario, sembrano l’espressione di un più intimo e sincero riferimento religioso – per esempio, il modo in cui alcuni passano la mano in saluto circolare sull’icona del crocefisso, nella cappella dell’Istituto o oppure la preghiera che alcuni dicono di recitare la sera – ma indica una linea di tendenza che sembra sempre più forte: la distanza crescente tra i ragazzi della mala e i riferimenti simbolici della religione.)

Quella che appare forte (ora più di prima) è la convinzione che “Dio perdona tutti”. Non è facile che i ragazzi riconoscano di aver commesso degli errori, che abbiano delle colpe. Nei confronti della società, si giustificano considerandosi piuttosto vittime di chi non ha consentito loro di avere soldi abbastanza per non avere la necessità di delinquere. Nei confronti del giudizio divino, l’idea è, appunto, che “Dio perdona ogni cosa”: idea che appare non tanto come possibile apertura ad una nuova strada, ma giustificazione a continuare la vecchia. Da uno dei principi cardine del cristianesimo sembra scaturire non un processo di liberazione, ma un’ulteriore deresponsabilizzazione.

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Stasera si conclude la seconda serie di Gomorra, dove la simbologia religiosa è stata fortissima. (Nota bene: anche nei Sopranos la religione era molto presente) 
Il segno della Croce ha accompagnato molte scene e molti delitti sono stati consumati davanti a livide statue del Cristo o di padre Pio.

Ha dichiarato Saviano in un’intervista: «La religione è imperante in questa nuova stagione, anche per la forte presenza di Salvatore Conte e di Don Pietro. Don Pietro ha una grande carica religiosa. È una figura di fronte alla quale si deve piegare la testa, che dà senso al progetto di società che i criminali stanno costruendo. Come dire: noi ammazziamo, certo, ma è per difendere la famiglia. Noi spacciamo, certo, ma è per arricchire il nostro quartiere. E poi c’è l’elemento cristiano dell’espiazione, attraverso il quale possiamo pulirci la coscienza e tornare a campare come abbiamo sempre campato. Nell’immaginario mafioso è la Madonna che difende il killer, perché è la Madonna che, nella sua infinita bontà, spiega a Gesù la ragione della sua messa a morte.»

Per la generazione di Pietro Savastano e di Conte – cresciute in una fase storica in cui la Chiesa non aveva assunto le posizioni apertamente antimafia cresciute dopo le uccisioni di don Puglisi e don Diana – la religione cattolica, acquisita per eredità culturale, si mescol(av)a con in maniera organica con le loro, ben poco cristiane, scelte di vita. 

Le generazioni successive, quelli delle paranze dei bambini o dei ragazzi che, pur non organici al sistema, ne respirano, nei vicoli, la stessa cultura, e che non pare abbiano mai frequentato molto la loro parrocchia, la religione appare, almeno vista da Nisida, un elemento non decisivo della loro personalità: al massimo, una maschera giustificatoria, un amuleto di cui ci si riveste, insieme ad altri amuleti, per affrontare il grande vuoto che sembra riempibile solo con soldi, tanti soldi, tantissimi soldi.

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