Ho conosciuto tantissimi
ferrovieri a partire da mio padre, da alcuni zii e cugini, da molti conoscenti.
Sarà anche, per l’ormai indebolita agricoltura, la mai sviluppata industria, la
fragilità dei diversi settori economici con la connessa mancanza di
concentrazioni forti di altre categorie di lavoratori, ma i ferrovieri restano,
a Reggio Calabria, un nucleo molto forte, la cui incidenza sul tessuto sociale
non ha, forse, paragoni con nessun altro luogo d’Italia.
È stato bello iniziare l’anno
di letture con un libretto agile, veloce, capace di dare emozioni e di
suggerire riflessioni.
«Questa Calabria bellissima e dannata. Volete capirla?
Venite e fatevi un giro in treno. Prendete un treno e andatevene in giro per
questa nostra Calabria come perdigiorno. Osservatela bene, ascoltate i
calabresi e cercate di capire in quale stramaledetto pozzo nero ci stiamo
andando a cacciare, cercando di fare piazza pulita delle notizie di cronaca
nera e grigia, di malapolitica, di progettualità cervellotica, di dati Istat e
di lanci d’agenzia che provocano rossori diffusi in chi, ancora si nutre di
quel sentimento tenue e silenzioso che è la dignità. (…) Povera Calabria,
ridotta come un circo di periferia tra saltimbanchi ingessati e domatori
graffiati, il telone rappezzato e le gabbie arrugginite, squattrinata e luccicante
di orpelli casalinghi cuciti da sartine di bassifondi. Povera Calabria e povero
il suo nome ridotto a barzelletta per risate di lestofanti ubriaconi di valli
padane. Povera la mia Calabria così grandiosamente bella nella sua solitudine
selvaggia, nella sua natura contaminata da grezzi gesti di noncuranza. (…)
Prendete un treno e fatevi un giro su e giù per la Calabria, ascoltando le
parole e le speranze di vecchi e di giovani. Ascoltate rabbie e illusioni.
Guardate questo mare e questi monti accantonando la superbia e l’ansia dei
tempi, e rendetevi conto che, tra ladri e malviventi, tra carogne e adulatori,
tra predicatori e scemi, stiamo compiendo tutti, nessuno escluso, ma ciascuno
col proprio livello di responsabilità, un misfatto senza prezzo, un crimine
senza perdono, una follia senza ritorno. La stiamo ammazzando. E nessuno, e
niente, la salverà.»
Antonio Calabrò, il treno lo prende tutti i giorni:
per mestiere. «(…) attrezzato di tutto punto, bandiera verde stretta in pugno
con la mano sinistra, fischietto al collo, chiave tripla nella mano destra»,
divisa perfettamente in ordine, cappello d’ordinanza, va su e giù lungo il
Tirreno e lo Jonio. Un capotreno che conosce, come e più delle sue tasche, ogni
stazioncina, ogni piccolo angolo di mare e di terra che costeggia i binari; che
guarda con attenzione tutti i passeggeri, studenti, lavoratori, immigrati, che
affronta i mille problemi che la strada comporta (la violenza diffusa, le liti
che scoppiano improvvise, le stranezze dei tanti pazzi che non hanno altra casa
che i vagoni ferroviari); che ci mette l’anima in un lavoro che era già quello
di suo padre e lo fa pensando.
«(…) sono solo un capotreno che cerca un senso
all’esistenza. Un capotreno esistenziale, che vaga di stazione in stazione come
ha vagato nella vita, sempre cercando di afferrare le redini della
comprensione, sempre vedendosele sfuggire proprio quando sembravano salde e
sicure. Il mio lavoro è una allegoria della vita, un lungo viaggio, a volte
faticoso, a volte piacevole, altre volte dannato. Un viaggio che vale la pensa
compiere, anche se si è in galleria o se il sole brucia nel primo pomeriggio di
Settembre, nella stazione di Rosarno, crocevia dei popoli dell’era moderna.»
Antonio Calabrò racchiude questa sua lunga esperienza
in Chiudi e vai. Viaggi calabresi di un capotreno esistenziale,
recentemente pubblicato da Disoblio. Un libro piccolo nel formato e nel numero
di pagine e prezioso nel suo contenuto. Una serie di racconti, che si svolgono nell’arco
di un anno lavorativo, da un settembre al successivo, e costituiscono un
romanzo tra i più interessanti della più recente produzione non solo calabrese.
Una lettura che prende, che si conclude in poche ore,
ma su cui – e capita molto di rado – si può essere certi che si tornerà: per
gustare gli squarci di lirismo nei confronti dello Jonio tanto amato, con le
sue albe dalla bellezza che riempie occhi, pelle, anima e cervello, per
rivedere i mille personaggi che popolano le sue pagine (la divertente
carrellata dei diversi tipi di ferrovieri; la sagace descrizione degli storti,
la simpatia con cui vengono raccontati i giovani, i tanti disgraziati, poveri
di testa e di tasche che, nella sua penna, risaltano con la dignità che ogni
uomo ha), per confrontarsi con la sua rabbia e la sua voglia di vivere, il suo
urlo e il suo incanto.
Un taccuino di viaggio che è, anche, un breve saggio
sociologico e un piccolo romanzo filosofico. Chi vuole confrontarsi
narrativamente con la realtà attuale della Calabria (e non solo: perché forse
mai come adesso la nostra è una vicenda intrecciata a quella del mondo: nella
nostra marginalità si può leggere l’universalità della Storia) si fa un ottimo
regalo leggendolo.
Questa recensione è stata
pubblicata su Zoomsud: http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/87145-la-recensione-chiudi-e-vai-il-taccuino-di-calabro-come-romanzo-filosofico.html
Pubblicata su Zoomsud anche la recensione di Carmela Zivillica di Vincenzo Spinoso: http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/87146-il-libro-ripubblicato-da-disoblio-carmela-zivillica-di-vincenzo-spinoso.html
Foto tratte da Fb
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