Sono nata e vissuta nello
stesso quartiere, estrema periferia sud di Reggio Calabria, ma in frazioni
diverse. Meglio:
Sono nata e ho passato la
prima infanzia in un luogo. Poche
case, i magazzini con le madie e le giare dell’olio, le stalle con i buoi e l’asino.
Dove ogni oggetto, ogni gesto, ogni parola erano l’espressione di una storia
antica, di una cultura contadina carica dell’esperienza accumulata da
generazioni. Un luogo caldo,
accogliente, in cui ogni cosa povera era, in realtà, ricca, piena, armoniosa:
bella.
Sono poi vissuta, da
ragazza e da giovane donna, in un non
luogo. Una sfilata di case, una accanto all’altra in una stradina senza
marciapiede. Dove il senso di comunità non è quello dei centri concentrici che
via via s’allargano, ma quello, ristretto, dei vicini di destra e di sinistra:
destinato, quindi, a non radicarsi e/o a disperdersi più facilmente.
La Calabria è fatta di luoghi e di non luoghi. Geografie di concentrati d’anima e di vuoti a perdere che
incidono profondamente nelle storie di ciascuno. È all’interno di queste mappe
che bisogna muoversi se si vogliono scrivere atlanti nuovi.
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