Giovedì di Carnevale, dalle nostre parti, si mangia grasso. Magari, un piatto di rigatoni o di paccheri con un ragù cotto lentamente, la carne di maiale che si stacca dall’osso, quella di vitello che, a tagliarla, non serve il coltello, le polpette grandi e succose. E, poi, (o almeno) le chiacchiere che si sfarinano in bocca in un soffio croccante: il dolce più aereo che ci sia.
Quest’anno, giovedì di Carnevale, non abbiamo mangiato né ragù né chiacchiere. Abbiamo, giusto perché bisogna nutrirsi, messo qualcosa nello stomaco. Malvolentieri. Terrificati dall’inizio d’una aggressione bellica che, insieme alle vite e alle case di un popolo, spazzava via le prime speranze, dopo due anni di pandemia, di una primavera finalmente serena.
È passato poco più di un mese – con milioni di profughi, città distrutte, fosse comuni, atrocità indimenticabili e una Resistenza che riempie il cuore di ammirazione – e la storia è svoltata.
Quella grande, che riguarda l’Europa e il mondo.
E quella piccola delle persone che, come me, camminano per le strade solite con in mente scompigli di pensieri sconosciuti.
La pandemia ha mutato abitudini.
L’aggressione all’Ucraina cambia la testa, l’interpretazione della storia, del mondo, e di se stessi.
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