«Un attimo prima di voltare le spalle alla notte, il mare si mosse. Una polifonia mi attraversò le orecchie, il pavimento crollò insieme ai detriti della mia casa e con loro precipitai su una catasta di rovine. Il mondo come l’avevo conosciuto finì e ogni cosa amata e odiata disparve.» «Il tempo di drizzare le orecchie e l’apocalisse era già iniziata. Una Scill’e Cariddi insieme, un mostro a sei teste, ciascuna con tre file di denti aguzzi, si era levato dal centro dello Stretto, aveva agitato la sua coda di drago e con quella aveva raso al suolo la riva calabrese mentre il fragore di un tuono anomalo la faceva deflagrare.»
Barbara, insonne, si è da poco affacciata a guardare il mare
dalla finestra della casa della nonna, a Messina, e Nicola viene svegliato da
rumori sconosciuti nel sotterraneo della sua casa a Reggio. È l’alba del 28
dicembre 1908 quando un terremoto-maremoto di dimensioni spaventose – la più
grave tragedia naturale d’Italia e quella europea che ha prodotto più vittime –
distrugge le due città dello Stretto.
Barbara è una ventenne, orfana di madre, che si oppone al
matrimonio per lei deciso dal padre, ama la lettura e il melodramma, trova in
romanzi quali Maria Landini di
Letteria Montoro un riferimento forte alle sue esigenze di libere scelte e
sogna di poter frequentare l’università. Nicola è un bambino che subisce le torture
piccole e grandi cui lo sottopone la madre, in nome di un cosiddetto amore che
sembra più uno squilibrio mentale e trova conforto nella lettura de Il Giornalino della Domenica. Entrambi
si ritrovano soli, nella folla di persone stordite da una tragedia immane, a
vagare per le due città ridotte in macerie, facile preda di chi, nella comune
catastrofe, non si fa più compassionevole ma approfitta dell’altrui debolezza.
Per qualche attimo, gli eventi porteranno il piccolo reggino e la giovane
siciliana a incontrarsi: uno sguardo che li accompagna nel tempo e che, quando
dopo dieci anni si ritroveranno, consente a lei di scrivere il libro che il
lettore sta ora leggendo. Forse non quello che Barbara aveva sognato di
pubblicare da ragazza, ma quello cui la vita l’ha portata.
La tragedia dà, quindi, avvio ad una svolta inattesa nelle
vite di Barbara e Nicola. Una svolta dalle curve dolorose e drammatiche, ma,
alla fine, liberante e, anche, appagante. Nicola trova una famiglia con un
padre e una madre degni di questi nomi, Barbara intesse con alcune donne una
rete di relazioni, che, nate dalla necessità, diventano via via elettive. Lei e
le sue compagne si danno il sostegno necessario ad affrontare la vita con nuova
consapevolezza e maggiore libertà, dispiegando con maggiore pienezza i talenti
di ciascuna. Oltre ogni maceria, fisica e spirituale, e oltre le regole del
passato andate anch’esse in frantumi, diventano sorelle capaci di essere
reciprocamente madri, custodi della vita che rinasce.
Con Trema la notte, appena pubblicato da Einaudi, Nadia Terranova affronta – le va riconosciuto il merito – una tragedia che, sebbene ampiamente rimossa (si veda anche la scarsità di opere di narrativa sull’argomento; bellissimo “Terremoto 37 secondi”, racconto di Mimmo Gangemi), ha condizionato la storia delle due città restando nel dna di messinesi e reggini. Lo fa con un intreccio di realismo e magia, sia nella lingua che mimetizza con accortezza quella d’epoca, sia nello svolgimento della vicenda. Non per nulla la storia parte da un mazzo di tarocchi sparpagliato e ogni capitolo è intitolato col nome di una carta.
Nadia Terranova si sofferma non tanto sul sisma in sé, ma sul dopo, ribaltando l’epica degli orfani e delineando una gravidanza amorevole sebbene scaturita da uno stupro. Della tragedia del terremoto-maremoto non vengono nascoste le criticità a partire dal ritardo degli aiuti e dalla lentezza della ricostruzione, e la devastazione morale dei saccheggi, dei furti, del falso volontariato, ma sui lutti e le distruzioni d’ogni tipo si accende una luce di speranza. Quella della vita che è più forte di ogni cosa e che, una volta perdonati gli altri e, soprattutto se stessi, ha in sé pienezza di gioia.
Pubblicato su Zoomsud:
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