“Ti ho trovata sulla spiaggia, ti ho accolta nella mia casa… Un relitto di donna con la faccia cotta dal sole e le gambe aperte, ti ho leccata e mi hai seguita come un cane orfano, ha detto quell’uomo. Venivo da un lungo viaggio, ero così stanca, avrei seguito chiunque. Ero sporca, affamata, mi hai aperto la tua casa, hai fatto scorrere l’acqua nella vasca e mi hai insaponato le spalle, il vestito profumava di mandorle amare, quando l’ho indossato”.
Un vecchio pescatore che suona l’organetto aspetta sul molo una donna, che viene da “uno di quei posti dove chiudono le donne che urlano per le strade e non si lavano e non si pettinano e la gatta andava e veniva e quando gli infermieri mi legavano al letto mi raccontava le storie, si nascondeva nella borsa rossa nell’armadio”. In quella borsa rossa, Lena custodisce “le storie appuntate sulla carta con l’inchiostro per non dimenticarle”, storie di tante donne, “trasparenti come bicchieri. Entravo nelle storie che raccontavano. Diventavo ognuna di loro.”
All’uomo che chiede, Lena racconta – quasi sussurrando in un orecchio – undici storie più una: di Magda, la cattiva madre; di Piera, che non usciva senza il suo cappello; di Laura, lago gelato; di Almira, albero ferito; di Rosetta, vicolo storto, di Clelia e del ciliegio; di Ester e la gatta; di Lucia e del cuore per lo zingaro; di Aziza, la prostituta bambina; della stessa Lena e di sua madre.
Tutte storie che rivisitano e trascendono il tema della maternità, in un romanzo di racconti che squarcia gli stereotipi, facendo esplodere contraddizioni e conflitti del più universale archetipo: quello del connubio, nel corpo stesso della madre, della vita e della morte: una discesa negli inferi delle emozioni più profonde, della violenza, talvolta della ferocia che le abitano, riscattate dal bisogno di una umana, intima solidarietà.
Con Madri, recentemente pubblicato da Castevecchi, Marisa Fasanella raggiunge la piena maturità artistica confermandosi come una delle voci più interessanti della narrativa contemporanea. Capace di rivisitare il sud al femminile con uno sguardo di assoluta universalità, grazie anche ad una lingua molto personale, barocca e austera insieme. Una narrazione dura come pietra che, come poche, colpisce emotivamente il lettore per l’intreccio tra l’elemento onirico e i drammi dirompenti che attraversano vite ingarbugliate come una matassa di lana di cui “trovi il bandolo e inizi a dipanarla e non sai mai se riuscirai ad arrivare all’altro capo del filo.”: “La vita è boh, madre, e rido, ormai scollata dalla memoria.”
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