La conoscenza del bene. Quella metà della catastrofe originale riceveva troppa poca attenzione. La colpa e la grazia si incontravano in quell’espressione nonostante tutto quanto.
La storia si può riassumere in poche righe: l’incontro, che inizia in un cimitero, tra un uomo bianco, pieno di talenti ma ha fatto più guai che altro nella sua vita e cerca l’“innocuità”, ovvero, non riuscendo a fare il bene, attraversare la vita quasi invisibile a tutti, e una donna nera, maestra, perbene in ogni suo gesto, parola, pensiero, entrambi figli di pastori di due differenti congregazioni protestanti, nell’America della separazione razziale.
I temi di fondo –il bene e il male, la colpa e il perdono,
compreso quello più difficile verso se stessi, il senso della vita, la presenza
e l’assenza di Dio – potrebbero occupare pagine e pagine.
Jack di Marilynne Robinson, pubblicato in Italia da Einaudi supera, in bellezza, il grande trittico – Gilead, Casa, Lila – cui si riallaccia. La delicata attenzione alle minime sfumature dei sentimenti, la delineazione di un pezzo di società, l’immersione nella quotidianità della trascendenza, la profonda religiosità che non è solo da credenti, ma di chiunque cerchi un umanesimo nuovo, la convinzione che la scoperta maggiore di Adamo ed Eva non è stata la conoscenza del male ma quella del bene si intrecciano in Jack in un capolavoro davvero pieno di grazia.
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