Una medaglia sostenuta da un nastro tricolore appuntata sul petto era il premio che ricevevo dalle mie suore-maestre, alle elementari, per voti particolarmente alti. Faceva parte di una formazione anche patriottico-risorgimentale con venature antiaustriache. La storia che mi veniva insegnata era, soprattutto, una sorta di mito risorgimentale, di cui, peraltro, la chiesa sarebbe stata una forza trainante.
Il libro che più mi
affascinava, ancora più del Cuore deamicisiano,
era un testo dalla copertina tricolore, intitolato (forse) Il Risorgimento italiano, che trattava in maniera molto mitizzata i
moti del ‘21 e del ‘48. Carlo Alberto, di cui si suggeriva quasi un’imponente
statura eroica, divenne uno dei miei primi amori.
Anche fuori scuola, quaranta
anni e passa dopo la fine della prima guerra mondiale – che la generazione dei
miei nonni aveva vissuto in trincea – ritrovavo un sostanziale, anche se privo
di acredine, sentimento antiaustriaco. Sentimento mantenuto in vita anche a
causa dei ripetuti attentati in Alto Adige rivendicato come Sud Tirolo: vi morì
anche un soldato nato e vissuto a pochi metri da casa mia e ricordo ancora il lancinante
lamento della madre, in chiesa, sopra la bara ricoperta dalla bandiera.
Poi, rapidamente, mentre
il mondo si allargava, quello spirito, fortunatamente, evaporò.
Quanto a me, al liceo e
poi all’università, lo studio più scientifico
della storia e la passione per la letteratura hanno via via accentuato la
mia simpatia, tra i paesi europei, per l’Inghilterra (ora retrocessa di
parecchio, nella mia scala personale, per via della Brexit) e per l’Austria.
A Vienna per alcuni
giorni, respirando la sua quieta bellezza e la sua grazia antica, girando per
le sue strade di sobria eleganza, visitando i suoi musei e i suoi parchi,
prendendo la sua metropolitana, ascoltando musica nei suoi teatri, gustando la
sua cucina – penso come inestricabili intrecci di storia, di cultura, di arte hanno
fatto degli europei un solo popolo. Con differenze anche sensibili, che, però,
oggi, non sono che facce di una stessa medaglia, sfumature di un identico
colore. Dovremmo difendere, allargare e approfondire l’unione anche politica
conquistata a così duro prezzo, sapendo che il nostro futuro si gioca nell’essere
non meno, ma più Europa.
E penso che mai, come in
questa fase storica, così tante persone possono viaggiare per il mondo non solo
perché (come è accaduto sempre e continua ad accadere anche oggi) costretti dalla
fame e dalla guerra e neppure per ragioni di studio e lavoro, ma per mero piacere. Sarebbe bello che una tale
occasione, mai così sperimentata nella storia, portasse a condividere un di più di umanità.
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