1
È il documento papale più colloquiale che io conosca. A parte alcuni pezzi, enucleabili come
scritti da qualche collaboratore, ampi stralci dell’esortazione apostolica hanno il tono dell’oralità a braccio delle omelie di Francesco a Santa Marta.
È un testo traboccante di quella gioia dell’amore umano, sponsale raccontato/celebrato/cantato in
toni che persone della mia generazione, cresciute in parrocchie normali (altra cosa sono sempre stati gruppi ecclesiali particolari, magari
guidati da personalità di particolare forza spirituale) non hanno ascoltato.
Elemento, quest’ultimo, che considererei tra quelli che, negli ultimi
trenta-quaranta anni ha portato all’allontanamento sempre più sensibile delle
donne dalla chiesa (e, con le donne, dei bambini e, quindi, a poco a poco, dei
giovani; la presenza degli uomini era già minoritaria).
Il testo è pervaso da un senso profondo di serenità, da
una gioia evangelica, ma la visione
che lo sottende mi sembra partire da una radicale presa d’atto di segno
diverso. Ovvero che il mondo attuale (tutto: nord e sud, oriente e occidente) è
un mondo (almeno su certi piani e per certi aspetti) fortemente a-cristiano. E che a questo mondo, da
parte cattolica, più che indicare dei principi da seguire, si deve trasmettere,
in linea prioritaria, il messaggio, rasserenante, che nessuna condizione
preclude l’incontro con Cristo.
Non mi pare che nel testo siano citati, ma, leggendo,
mi sono tornati più volte in mente due versetti biblici: “Egli... Non spezzerà
la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante” (Isaia 42:3). “Venite a me,
voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt.11, 28), perché
chi scrive non proclama come dovrebbe
essere chi legge ma lo guarda con affetto paterno/fraterno per come è. Qualsiasi piccola luce di bene, per
quanto imperfetta, va, quindi, apprezzata e benedetta in quanto possibile
apertura a un realtà più grande, trascendentale.
Nessun commento:
Posta un commento