mercoledì 13 aprile 2016

Notarelle marginali su Amoris laetitia



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È il documento papale più colloquiale che io conosca. A parte alcuni pezzi, enucleabili come scritti da qualche collaboratore, ampi stralci dell’esortazione apostolica hanno il tono dell’oralità a braccio delle omelie di Francesco a Santa Marta.

È un testo traboccante di quella gioia dell’amore umano, sponsale raccontato/celebrato/cantato in toni che persone della mia generazione, cresciute in parrocchie normali (altra cosa sono sempre stati gruppi ecclesiali particolari, magari guidati da personalità di particolare forza spirituale) non hanno ascoltato. Elemento, quest’ultimo, che considererei tra quelli che, negli ultimi trenta-quaranta anni ha portato all’allontanamento sempre più sensibile delle donne dalla chiesa (e, con le donne, dei bambini e, quindi, a poco a poco, dei giovani; la presenza degli uomini era già minoritaria).

Il testo è pervaso da un senso profondo di serenità, da una gioia evangelica, ma la visione che lo sottende mi sembra partire da una radicale presa d’atto di segno diverso. Ovvero che il mondo attuale (tutto: nord e sud, oriente e occidente) è un mondo (almeno su certi piani e per certi aspetti) fortemente a-cristiano. E che a questo mondo, da parte cattolica, più che indicare dei principi da seguire, si deve trasmettere, in linea prioritaria, il messaggio, rasserenante, che nessuna condizione preclude l’incontro con Cristo. 

Non mi pare che nel testo siano citati, ma, leggendo, mi sono tornati più volte in mente due versetti biblici: “Egli... Non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante” (Isaia 42:3). “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt.11, 28), perché chi scrive non proclama come dovrebbe essere chi legge ma lo guarda con affetto paterno/fraterno per come è. Qualsiasi piccola luce di bene, per quanto imperfetta, va, quindi, apprezzata e benedetta in quanto possibile apertura a un realtà più grande, trascendentale.


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