lunedì 25 aprile 2016

25 Aprile. La Liberazione non è finita






Come tutte le persone di buonsenso, ho sempre pensato che “camorristi non si nasce, si diventa”.

Negli ultimissimi anni, soprattutto negli ultimi due-tre, a contatto con i miei allievi, sto arrivando alla conclusione opposta: “camorristi si nasce”. E non certo per ragioni genetiche. E' che, in certe periferie, respiri un modo di pensare, di fare, ben prima di nascere, lo succhi nel liquido amniotico prima ancora che nel latte, cresci a pane e illegalità, a pizza e spaccio, a babà e ammazzatine, sempre all’interno di un senso di morte che spinge a cercare, in un modo o nell’altro, ancora morte. Sei immerso da sempre, ben prima del formarsi di una qualsiasi consapevolezza, in una bolla nera, da cui uscire implica un difficilissimo processo di liberazione.

Soltanto Saviano, qualche altro intellettuale, alcuni preti e alcuni operatori sociali hanno – ed esprimono – il senso reale della catastrofe educativa che intere zone di Napoli (e non solo) attraversano: una tragedia da urlo che dovrebbe spingere, possibilmente, alla conversione sociale.

Di fronte a tutto questo, la scuola che può fare?

Oggi, sulla Stampa, c’è un’intervista di Cesare Moreno che, in larga parte, condivido.
“Noi – dice Moreno – non dobbiamo insegnare quanto la vita criminale sia dolorosa e schifosa, non dobbiamo smascherare le retoriche del lusso e del potere che cercano malamente di mascherare la realtà del crimine. Dobbiamo offrire ai giovani una protezione reale e psichica che oggi non esiste neppure nei migliori propositi. Noi maestri di strada possiamo solo testimoniare che una vita buona nonostante tutto è possibile, far vedere che pur vivendo insieme a loro nello stesso schifo tuttavia non ce ne facciamo contaminare, far sentire sì tutta la solidarietà di chi sta vivendo con loro una vita molto difficile

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