Dei film candidati all’Oscar quest’anno,
ho visto solo Il caso Spotlight. Non posso valutare, quindi,
se sia migliore degli altri sette, ma sono molto contenta che abbia vinto.
Perché mostra – con solida sceneggiatura e
buona recitazione – un modo di fare giornalismo affascinante: un’indagine
seria, certosina, attenta non a sparare titoli e a creare rumore, ma a capire
e, nel caso, ad agire per modificare la realtà. Indagine svolta, con monacale
dedizione, da persone che non si ritengono le personificazioni del Bene contro
i malvagi, ma sanno di avere anche loro delle responsabilità. Non degli
esaltati, insomma (anche a fin di bene), ma dei costruttori, umili e pazienti,
di verità.
Il tema, peraltro, si sarebbe potuto prestato
a scivoloni pruriginosi, a proclami anticlericali, ad un atteggiamento globalmente anticattolico, ecc.ecc., tutti pericoli che
il film neppure sfiora.
Un ottimo film e una buona occasione, per
la Chiesa, di guardare dentro se stessa, consapevole che nessuna critica
esterna potrebbe mai lontanamente avvicinarsi al “Guai a chi scandalizza uno di
questi piccoli che credono in me…” (A questo proposito, non sarebbe male ricordare che chi ha davvero iniziato un'opera di pulizia contro la "sporcizia nella Chiesa" è stato Joseph Ratzinger/Papa Benedetto XVI).
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