Se nucleo forte del
cristianesimo è nel triduo pasquale, il periodo liturgico più lieto è l’Avvento.
L’attesa del Salvatore, nei brani che vengono via via letti di Isaia, è tutta
una musica piena di colori: non c’è pianta, animale, pizzo di montagna, angolo
di mare, che non sia gravido di una pienezza che via via germoglia e fiorisce,
portando a compimento il senso stesso del mondo e di tutti i miliardi di esseri
umani e non che lo abitano e lo abiteranno dal suo inizio alla sua fine.
Amo l’Avvento, quel suo
senso intimo di speranza, di luce che si fa più grande e vicina nella notte
buia, di onda che vieppiù s’arrotonda prima di arrivare a riva, di calore che
scioglie i nodi che l’intero anno ha intricato: la possibilità, ogni volta, di
riprovare lo stupore del ri-nascere.
Felice chi anche oggi –
ragazzo/a alle prese col non-lavoro, quasi anziano-a che non può andare in
pensione, donna che si divide tra i problemi dei genitori vecchi e dei figli
giovani, nel mondo confuso che ci ritroviamo a quattordici anni dalle Torri
gemelle, con l’Europa inesistente, l’Isis minacciante, le centinaia di
migliaia di immigrati cui non sappiamo dare risposte e le non poche brutture della Chiesa – felice chi anche oggi
accoglie quel Bambino nella sua vita.
Nessun commento:
Posta un commento