Quanti conoscono Elena Bono?
Personalmente, non conoscevo neppure il suo nome fino
ad una quindicina di giorni fa, quando un articolo di quotidiano mi ha spinto a
comprare (in un’edizione pdf, piuttosto faticosa da legger sul Kindle) Morte d’Adamo.
Non mi sento di dire, sulla base di quest’unico libro
(835 pagine; 8 racconti di sfondo biblico, con particolare attenzione ai
racconti evangelici della Passione) che sia, come qualche critico afferma, la più
grande autrice del nostro secondo Novecento.
Ma, certo, è autrice di assoluto rilievo.
Potente è il suo modo di narrare. Che, intorno a
questo o a quell’episodio biblico, fa rivivere il mondo di quelli che hanno
conosciuto Gesù prima che lo sviluppo del cristianesimo ne ratificasse il suo
essere Figlio di Dio. Persone che hanno in qualche modo avuto a che fare con Lui
e ne sono stati toccati profondamente. Esemplare, in questo senso, il più ampio
e bello dei racconti: Claudia, La moglie
del procuratore, Ponzio Pilato, che passa una notte raccontando la sua
esperienza a Seneca, è personaggio indimenticabile.
Potente la lingua: costruita, tornita, lavorata al
massimo, eppure fluida e capace di trasmettere la complessità dei fatti e la
molteplicità delle emozioni.
Potente ciò che sottende alla narrazione. Una spiritualità
tutt’altro che aerea, emozionale, fatta di palpiti del cuore. Una concretezza
della vita, delle relazioni, della storia, animata da un misticismo robusto,
aderente alla terra e alla storia.
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