L’amministrazione comunale reggina sta in una
centrifuga di polemiche perché qualche giorno fa è stata approvata, quasi
all’unanimità, una mozione presentata da un consigliere di minoranza che chiede
la difesa della “famiglia naturale” e una giornata che la celebri.
Su fb, ho letto, ieri, un susseguirsi di proteste, che vanno dall’accusa di
aver riportato Reggio al Medioevo (tra parentesi: non sarebbe ora di evitare
questo costante riferimento al Medioevo come epoca buia e peggio, essendo stato,
il Medioevo, come sa ogni storico decente, insieme a cose pessime, una
grandissima epoca?) a quella d'una vittoria di fascisti, retrogradi, traditori
del rinnovamento ecc. ecc.
Non ho intenzione di intervenire
direttamente sul senso politico e i relativi testi e sottotesti di quanto
avvenuto, ma traggo spunto da questo fatto per alcune considerazioni.
1.
La nostra Costituzione – che appena qualche anno
fa, almeno per la sinistra, era “la più bella del mondo” – evidentemente è da
rottamare, non solo per quanto riguarda il bicameralismo perfetto, ma anche lì
dove (art.29 e seguenti), recita che «La Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.» Dicendo, con ciò, che: a) la
famiglia è realtà che precede l’organizzazione statuale e che essa è una realtà
legata alla “natura” dell’uomo (la natura dell’uomo, ovvero la sua essenza, ciò
che lo rende diverso dal resto del “regno animale”, il suo essere, insieme,
corpo-e mente, dimensione fisica e dimensione culturale); b) la famiglia si
struttura intorno ad un patto matrimoniale; c) il matrimonio è faccenda di
un uomo e di una donna (quest’ultimo aspetto non è definito in maniera
esplicita, eppure è indubbio, perché nessuno, ma proprio nessuno dei padri e
delle madri costituenti ha mai avuto qualche dubbio in proposito).
2.
La Costituzione – per quanto bella (personalmente, la
considero uno dei “miracoli” del nostro paese, per come equilibra in unità le
culture che hanno formato l’Italia) non è certo il Vangelo. Insomma, il suo
verbo può essere modificato senza, necessariamente, cadere nell’eresia. Ma, al
momento, la Costituzione dice questo (con buona pace dei sindaci che
istituiscono i registri delle unioni civili o trascrivono le unioni omosessuali
formalizzate all’estero).
3.
Ma c’è qualcosa in più, qualcosa che va oltre la
legge e attiene al modo in cui le persone guardano se stesse, la loro vita:
insomma, la cultura. E la cultura del
nostro tempo tende a portare a completa codificazione,
a rendere norma e legge il lungo processo di destrutturazione sociale iniziato
alla fine degli anni sessanta. E punta, perciò, non a riconoscere i diritti
civili (sacrosanti) degli omosessuali, ma, sostanzialmente, a negare che
esista, insieme a tante possibili relazioni affettive, un solo nucleo fondante il matrimonio: quello costituito da un
uomo e una donna, che, potenzialmente, possono dar vita a figli (matrimonio
uguale a munus mater, compito della
madre).
4.
Se essere in sintonia col proprio tempo dà una
certa sicurezza, fa sentire nelle schiere dei forti e dei giusti, direbbe
Pasolini “di quelli che si adempiono”, non sempre l’adesione allo spirito del
proprio tempo è cosa giusta e bella (la storia docet, o potrebbe farlo per chi
ne tenga conto). Non sempre apre a nuove primavere, talora porta a nuovi
inverni.
5.
Fa parte dello spirito del nostro tempo,
l’accumulazione di diritti. Tra cui
il diritto al matrimonio omosessuale, il diritto assoluto ai figli (da cui, fecondazione
eterologa e utero in affitto mascherato con più miti espressioni) e il diritto
all’aborto, su cui si è favorevolmente pronunciata l’Europa qualche giorno
invitando gli stati membri a “favorirne l’accesso”.
6.
Il “diritto” all’aborto dovrebbe essere
espressione indigesta un po’ a tutti e, principalmente, alle donne. Che
dovrebbero (voler) essere in condizioni di decidere se dare o meno la vita prima, senza passare per un gesto che,
comunque lo si giri, attiene alla morte. E che, considerando l’aborto come un
loro diritto, accrescono la deresponsabilizzazione maschile nei confronti della
vita. Sono convinta che esistano situazioni in cui l’aborto può configurarsi in
modo non dissimile dalla legittima difesa. Ovvero qualcosa che, pur restando
negativo in sé, non è umanamente evitabile (o lo è solo a santi e dintorni, che
non è la normale condizione umana). Ma da qui a dargli la patente di “diritto
umano” ce ne dovrebbe correre.
7.
Quando ero piccola, lavoro e maternità
venivano considerate due realtà entrambe faticose (cariche di sudore e /o di
lacrime) e, nel contempo, entrambe ammirevoli, in quanto costruttrici
di umanità (nel privato e nel pubblico). C’era, in questo, forse, una certa reminiscenza biblica: la doppia maledizione posta a causa della colpa originale,
il lavoro col sudore della fronte per l’uomo e il partorire con dolore per la
donna, che diventavano, tutte e due, elementi di realizzazione/santificazione. Quando
sono diventata più grande, il lavoro era sempre più considerato un elemento di
realizzazione (per l’uomo) e la maternità un limite alla realizzazione (della
donna), nonché una limitazione alla vita di coppia, e alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. Col tempo, il lavoro è
diventato il valore supremo, e la maternità è diventata uno degli snodi più
schizofrenici del presente. In pochi decenni, si è passati dalla donna considerata
“giusta” in quanto solo madre alla donna
che deve quasi giustificarsi di essere, oltre che lavoratrice, anche madre
8.
Per tornare ai diritti che vanno attualmente per
la maggiore (o, per essere precisi, i diritti che vengono sempre più posti come
assolutamente necessari per essere adeguatamente moderni) non mancano quelli
che si riferiscono agli Standard europei per l’educazione sessuale, per bambini
in età di asilo. Penso che, a leggerli, dovrebbe venire più di un serio motivo
di perplessità.
9.
Tutta l’Europa (e l’Occidente in genere) è
attualmente percorso da questo “vento dei diritti”, che ha già introdotto molte
modifiche legislative e altre ne introdurrà, nel breve e medio termine, nell’ambito
di quanto detto sopra. Insomma, la maggioranza pare orientarsi, più o meno
convintamente, più o meno indifferente, secondo l'aria che tira. Io voglio
mantenere il mio diritto a pensarla – e a dirla – secondo coscienza. Anche a rischio di ritrovarmi, per molti, medioevale.
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