«Amate di più gli
studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano
in condizioni di disagio, i disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande
sfida per la scuola. E ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza. Non
amate solo quelli che studiano; se amate solo quelli che studiano, che sono ben
educati, che merito avete? Qualsiasi insegnante si trova bene con questi ed è
chiamato ad impegnarsi nelle periferie della scuola, che non possono essere
abbandonate all’emarginazione, all’ignoranza, alla malavita.»
Se l’intervento di ieri di papa Francesco (riportato
qui sotto) può essere assunto come il Manifesto dell’insegnamento, il brano
evidenziato qui sopra appare quasi come una sorta di aggiunta, specifica per i
docenti, al Discorso della Montagna.
Una beatitudine,
estremamente difficile, ma indispensabile, come sa bene chi insegna in
luoghi e situazioni in cui si concentrano le tante periferie del nostro tempo: periferie sociali, economiche,
culturali, periferie dell’anima.
Per esempio, per coloro che, insegnando in un carcere
minorile, hanno una delle ultime, potenziali, occasioni di fare da tramite tra
ciò che attiene, specificamente e in senso più ampio, alla cultura e ragazzi
che nei confronti della stessa hanno un generale
atteggiamento di indifferenza e, più spesso, di insofferenza e ostilità. Per
dirla in termini sgradevoli, ma più vicini alla realtà: che la cultura la schifano.
In carcere (mi
riferisco a Napoli), arrivano sempre più ragazzi che la licenza media l’hanno
presa. Ma è un titolo senza contenuto: non sanno nulla o quasi, né leggere, né
scrivere, né far di conto, per non parlare di qualche nozione di storia, di
geografia, di lingua straniera.
La scuola non li ha respinti, ma non è riuscita a
integrarli davvero in un processo di crescita.
Non è colpa degli insegnanti che lavorano in
territori difficili, con classi difficili, in situazioni difficili.
È il segno di un limite di attenzione complessiva
della nostra società alla crescita
dei nostri ragazzi, di una carenza di rete sociale che faccia fronte a
problematiche immani, che hanno una concentrazione più alta in alcuni
territori.
La stragrande maggioranza dei ragazzi che
arrivano in carcere non presentano solo un deficit di conoscenze (a fronte, molto
spesso, di intelligenze vivaci), ma sono, sempre di più, di quelli che “fanno
perdere la pazienza”.
Dentro e dietro i loro atteggiamenti non è
difficile cogliere infanzie non vissute, psicologie terremotate da esperienze
sfrantumanti, le corazze di rabbia e aggressività di chi vede sbocchi vincenti
alla propria vita solo nell’illegalità.
Giovani vite devastate. Ricominciare non è facile. Riuscire
a venirne fuori non è lontano dal miracolo.
La scuola, in carcere, ci prova. Giorno dopo
giorno. Spesso perdendo. Talvolta aprendo dei piccoli canali di comunicazione
che, forse, chissà.
Ora, il passaggio dai CTP (nel cui ambito è stata
fino ad ora inserita la scuola in carcere) ai CPIA rischia di dimensionare, ovvero di ridurre, la presenza della scuola in carcere.
Sarebbe una scelta socialmente sensata?
Il disegno di copertina di Cecilia Latella del primo volume dei Racconti per Nisida è diventato il simbolo del progetto Nisida come Parco Letterario e Naturale |
«Insegnare è un lavoro bellissimo, peccato che
gli insegnanti sono malpagati: è una ingiustizia. Non è solo il tempo che
spendono per fare scuola: debbono prepararsi.
Nel mio Paese che è quello che conosco meglio, i
poveri insegnanti per avere uno stipendio che sia utile debbono fare due turni.
E mi chiedo: un insegnante come finisce dopo due turni?
In 70 anni l'Italia è cambiata, la scuola è
cambiata, ma ci sono sempre insegnanti disposti ad impegnarsi nella propria
professione con entusiasmo e disponibilità. Insegnare è un lavoro bellissimo,
perché consente di veder crescere giorno per giorno le persone che sono affidate
alla nostra cura. È un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente. È una
grande responsabilità.
Insegnare è un impegno serio, che solo una
personalità matura ed equilibrata può prendere, un impegno che può generare
timore, ma occorre ricordare che nessun insegnante è mai solo: condivide sempre
il proprio lavoro con altri colleghi e con tutta la comunità educativa cui
appartiene.
Amate di più gli studenti ‘difficili’, quelli che
non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i
disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. E ce ne
sono di quelli che fanno perdere la pazienza. Non amate solo quelli che
studiano; se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito
avete? Qualsiasi insegnante si trova bene con questi ed è chiamato ad
impegnarsi nelle periferie della scuola, che non possono essere abbandonate
all'emarginazione, all'ignoranza, alla malavita.
In una società che fatica a trovare punti di
riferimento è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento
positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti
capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre
tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire
una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed
amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità.
Per trasmettere contenuti è sufficiente un
computer, per capire come si ama, quali sono i valori, e quali le abitudini che
creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante.
Aprite le porte, spalancate le porte della scuola.»
Papa Francesco, Udienza alla Unione cattolica
insegnanti medi (Ucim). 14.03.2015
Nessun commento:
Posta un commento