C’è stato un tempo, finito più di cinquanta anni fa, in cui il mio paese s’abbelliva per la processione del Corpus Domini, quando il parroco, camminando sotto un baldacchino sostenuto a mano, rivestito di pesanti paramenti ricamati a fili d’oro, portava il S.S. Sacramento per tutte le vie, fermandosi per una preghiera e una benedizione presso gli altarini allestiti in ogni dove.
C’era molta cura a preparare gli altarini con le tovaglie più belle e i fiori più profumati, spargendo tutto intorno petali colorati e le strade, ripulite d’ogni erbaccia, diventavano una distesa di damaschi preziosi, di lenzuola intagliate, di tovaglie arabescate ai balconi e alle finestre.
Era tutto un colore, un profumo in cui la personale e collettiva devozione religiosa si faceva identità popolare, la polvere si impregnava di incenso e la spiritualità, sincera, non era esente dalla competizione, da una sorta di santa invidia: ogni famiglia, ogni caseggiato si misurava con i vicini a chi aveva reso più bello il suo altarino, il suo pezzo di strada, il suo balcone.
Mi è improvvisamente venuta in mente un’immagine di quelle processioni – anzi il fermo immagine conservato in una foto: io, ragazzina, che distribuisco cestini di petali ai miei cugini più piccoli perché li spargessero intorno al nostro altarino – mentre risalivo, sotto la strana pioggerellina del primo maggio, i Gradoni di Chiaia che, da settimane, si inazzurrano, come tutta la città: con striscioni, foto dei calciatori, bandiere, preparandosi alla festa che verrà.
Non può che fare simpatia lo spettacolo che Napoli offre di sé in questi giorni, come quello che ha offerto al primo e al secondo scudetto: questo fervore, questa organizzazione, anche questa (talvolta) creatività: come un residuo d’infanzia che chiede stupore e vuole gioire, cantare, ballare, unendo classi sociali, strati culturali, centro e periferia in un unico respiro. Conosco l’emozione che può suscitare il calcio (in una partita, allo stadio, tanti anni fa, mi venne da pensare che l’ingresso dei giocatori in campo era accolto come quello dei gladiatori di romana memoria), le risonanze che un gol, un bel gol, possono avere. E, quando arriverà lo scudetto – ieri non era la giornata giusta – da buona cittadina del Sud, sarò contenta anch’io.
Ma non posso non chiedermi: com’è che la nostra identità di popolo, e di popolo che vuole far festa e, quindi, è ancora giovane nonostante i secoli e millenni che abbiamo sulle spalle, sembra trovare espressione, ormai, solo nel calcio, soprattutto, quando si vince?
P.S. Stessa salita, più di un mese fa. Quasi l'alba. Un gruppetto di turisti scendevano. Uno dice all'altro: Chiediamo alla signora. C'era in giro una sola signora, io. Metto a fuoco la mappa di Napoli. Penso che mi chiederanno come raggiungere da qui un museo importante, una chiesa famosa, un monumento. No. Mi chiedono come raggiungere il murales di Maradona. E io mi chiedo quanta economia della città, da mesi, gira intorno allo scudetto che verrà.
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