Ora puoi veniregiorno
iostoaspettando
chetusorga
tuttoèbianco
tuttoèvuotoevacuo
il chiaroresulloschermo del computersifonde
conil chiarore della nevefuori
iostoaspettando
sottoun nuovocielo
s o p r au n an u o v at e r r a
sisente
un
uccello
cantare.
Audur Ava Olafsdottir, La vita degli animali, Einaudi
Da tempo, faccio l’elenco dei libri letti durante l’anno, segnando con una stella quelli che mi piacciono, con due quelli che mi piacciono molto e con tre quelli che mi piacciono moltissimo.
Fino a qualche settimana fa, solo a cinque dei libri letti durante il 2021, avevo attribuito tre stelline e di questi solo ad uno pubblicato durante l’anno: Jack di Marylinne Robinson, (tra gli italiani pubblicati nel 2021, menzione d’onore, nella mia personale valutazione, per Il cuoco dell’imperatore di Raffaele Nigro). Ora è arrivata la sesta per La vita degli animali dell’islandese Audur Ava Olafsdottir (di cui anni fa avevo apprezzato Rosa candida), traduzione di Stefano Rosatti, edito da Einaudi: un libro particolarmente adatto per questa fase così drammatica della storia mondiale, con una pandemia che ci porta ogni giorno a parlare di morte.
Dýja – ostetrica come altre donne di famiglia, in particolare la zia Fífa, di cui ritrova in casa centinaia di pagine di appunti – riflette, come già Fìfa, sul senso del nascere, evento da cui nessuno “si riprende mai”, giacché la cosa più difficile, per gli umani, “è abituarsi alla luce”.
Ne deriva un testo tutt’altro che ideologico, che conosce la gioia, la fatica, il dolore insiti nella vita che viene al mondo, di un lirismo sobrio, che lascia il lettore come spalancato su tante domande, con nel cuore la malinconia dell’eccesso che ci trascende e la meraviglia del mondo che si rinnova ad ogni nascita: “Sebbene mia zia non avesse fede nell’uomo, aveva fede nel bambino. O, per meglio dire, non aveva fede nell’uomo se non quando è un esserino minuscolo.”
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