Mi sono sempre stati estranei i festeggiamenti di Capodanno, i rumori, i botti, il fragore di una felicità indossata. L’esagerata allegrezza per l’anno che verrà, da giovane mi dava angoscia; da più matura, la relegavo tra i tentativi, superstiziosi, di esorcizzare le paure del futuro: ché il futuro è sempre inatteso e può portare meraviglie, ma anche tragedie, sempre.
Al terzo anno di pandemia, il tono degli auguri in arrivo è inquieto: come lo sforzo di tirarsi su, di non farsi sommergere dallo scoramento.
La domanda di tutti, espressa o meno, è: a che punto è la notte? Quando la luce intravista già più volte in questi mesi si farà giorno pieno?
L’unico augurio che mi sentirei, oggi, di fare, a me stessa e agli altri è: resistere, resistere, resistere.
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