Nel marzo 1946, in seguito alle prime elezioni cui partecipano anche le donne, vengono elette in Italia undici sindache. Tre sono calabresi: Caterina Tufarelli Palumbo, eletta a San Sosti; Ines Nervi Carrattelli a San Pietro in Amantea e Lydia Toraldo Serra a Tropea.
Un caso? No. La presenza delle donne nella storia della Calabria è ben più forte e significativa di quanto si possa pensare. Già nella scuola di Pitagora, a Crotone, nel VI secolo a. C., erano presenti alcune donne (la stessa moglie di Pitagora, Teano, guidò la Scuola Italica dopo la morte del matematico-filosofo), ma la partecipazione alla vita pubblica, nei suoi aspetti politici, culturali, sociali, religiosi, diventa particolarmente sensibile alla fine dell’Ottocento per esplodere, poi, nel Novecento. Si tratta, soprattutto, di donne di classe borghese o anche di ascendenza nobili, che hanno potuto studiare in epoche in cui la scuola restava privilegio di pochi (uomini) e di (quasi nessuna) donna, ma anche di giovani provenienti da condizioni socio-economiche molto meno favorevoli. Una presenza femminile mobile e variegata, spesso legata allo sviluppo nella regione, in quei decenni, di movimenti ecclesiali nella cui frequentazione le donne hanno trovato alimento per un’attività non solo religiosa, ma sociale e, molto spesso, educativa e politica.
Le donne nella storia della Calabria, curato, per AiParC (Associazione italiana parchi culturali) Cosenza da Tania Frisone, Nella Matta e Marilù Sprovieri ed edito da Jonia, raccoglie le biografie di una cinquantina di donne, la cui azione ha influenzato la vita della regione.
Donne democristiane, socialiste, comuniste, fasciste e liberali. Insegnanti. Mediche. Architette. Donne che hanno dedicato la loro esistenza all’aiuto ai più bisognosi, rinunciando ad una propria famiglia e donne che hanno affiancato all’impegno pubblico quello di mogli e di madri. Donne di fede e donne senza riferimenti religiosi. Qualcuna nota, la maggior parte sconosciuta ai più. Tutte degne d’interesse. A cominciare da Giuseppina Le Maire che per la Società fiorentina per l’istruzione popolare nel Mezzogiorno, svolge un’inchiesta, sulla situazione del dopo terremoto del 1908 che si conclude con una relazione firmata anche da Sibilla Aleramo, Giovanni Cena e Gaetano Salvemini: “La caduta di tutte queste aule in fondo non è un male. La più parte fra esse erano ‘luride tane da topi’, ‘centri e fomiti di malattie infettive’ moltissime senza impiantito, qualcuna col tetto scoperto, anguste, senza luce, lerce, ignobili. In esse i bambini erano torturati come in ‘case di pena’, stipati in quattro o cinque fra banchi capaci tutt’al più di due o tre inquilini, quando non dovevano sedere per terra o andare in prestito per una sedia presso qualche pietosa vicina. Delle aule tutt’ora esistenti e da noi visitate, una sola era buona, sebbene lesa dal disastro. Di tutte le altre, rimpiangemmo che non fossero anch’esse scomparse”.
Un libro prezioso per il recupero di una memoria troppo trascurata – molti nomi sono delle vere e proprie scoperte – e per il coinvolgimento delle scuole: alcune biografie sono scritte da specialisti, ma molte altre sono frutto di ricerche svolte nei licei di Cosenza, Rossano, Rende, con grande impegno di professori e allievi. Un lavoro, questo della scuola, di particolare interesse. Anche con consimili ricerche, i giovani calabresi, e le ragazze in particolare, possono rafforzare un’identità positiva: se davanti a loro c’è il mondo in tutta la sua estensione, alle loro spalle c’è un passato pieno di dignità e di sforzi operosi: non sono figli/e di un Dio minore.
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