Due mesi e passa dominati da una guerra: vicinissima a noi, trasmessa in diretta dalle tv, con un paese aggressore e un paese aggredito facili da identificare. Una guerra che rimette in discussione molte illusioni pacifiste degli ultimi decenni e impone alle grandi tradizioni culturali del paese – quella cattolica, quella comunista, quella liberaldemocratica che diedero vita alla Costituzione – di ripensarsi seriamente di fronte alla storia. A quella del futuro. Schierandosi con chiarezza e determinazione.
Mentre – intorno alla guerra e alle connesse tragedie delle città distrutte, degli orrori che oltrepassano l’inumano, delle vite devastate – crescono, nel mondo, problemi economici e sociali enormi, tanta tv inquina e imbarbarisce l’informazione, con giornalisti per i quali il titolo di pennivendoli già sarebbe un regalo immeritato e facendo assurgere a maestri del pensiero, leader dell’opinione pubblica e prossimi membri del Parlamento personaggi che fanno molto temere sul valore di alcune nostre università. E tanti politici – meglio qualificabili come politicanti – si danno a roboanti dichiarazioni che media e social media ripropongono mentre andrebbero annegate fin da subito in quattro risate di compatimento per l’alto tasso di idiozia raggiunta.
In un paese in cui a leggere almeno un libro l’anno è meno della metà della popolazione (il 41% secondo le ultime rilevazioni, che scende al 23% in Calabria; e stiamo parlando di solo di quantità, non di qualità), quanto male – disinformazione, qualunquismo, surreali mancanze di logica ecc.ecc – stanno producendo i pessimi talk della nostra tv? Quanti altri mostri stanno generando (dopo quelli che hanno generato nel recente passato)? Quanto peseranno –pessimamente – nelle elezioni del 2023?
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