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Quando avevo più o meno dieci anni, la cosa più terribile che potesse accadere ad una ragazza – mi riferisco alle frasi, ai sospiri che sentivo intorno a me – era restare incinta senza essere sposata. Quando avevo più o meno trent’anni, la cosa più terribile che potesse accadere ad una ragazza – e mi riferisco sempre a quanto sentivo intorno a me – era restare incinta, mettendo in pericolo la sua vita libera e/o la sua carriera.
Nel giro di una ventina di anni era avvenuta una trasformazione epocale, che segnava il passaggio dal dovere di ogni giovane donna di realizzarsi diventando madre da moglie legittima al dovere di realizzarsi in quanto donna. Da una, cosiddetta, mistica della femminilità ad una contro-mistica. Contrassegnate, entrambe, dall’incapacità di vedere la donna e la madre davvero unite nella stessa persona.
Nel quarantennio successivo, la scissione tra i due termini si è aggravata fino a portare all’attuale inverno delle nascite che, per i più avvertiti, è, per l’Italia, non solo un grave problema, ma, più probabilmente, in prospettiva, il più grave.
“Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta. È un'Italia destinata lentamente a invecchiare e scomparire. – ha detto Mario Draghi ai recenti Stati generali della natalità – La consapevolezza dell’importanza di avere figli è un prodotto del miglioramento della condizione della donna, e non antitetico alla sua emancipazione. Lo Stato deve dunque accompagnare questa nuova consapevolezza. Continuare ad investire sul miglioramento delle condizioni femminili. E mettere la società – donne e uomini – in grado di avere figli”. E ha ribadito i provvedimenti presenti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati a migliorare la vita economica e sociale delle donne producendo anche un aumento delle nascite.
Provvedimenti indubbiamente necessari, ma tutt’altro che esaustivi. Perché il crollo delle nascite è solo in parte dovuto a problemi economico/pratici, e molto, moltissimo, alla koiné culturale che si diffusa e stratificata nel corso degli ultimi decenni per l’intreccio di processi molto complessi. Che investono in primo luogo le donne e il loro ruolo nella società e gli uomini e il loro ruolo nell’ambito domestico, ma vedono anche l’ormai affermata tendenza a privilegiare il presente, già incerto, rispetto al futuro, non più obiettivo di speranze. La società fatta di famiglie allargate non è che un ricordo sostituita da una società fatta di individui spesso singoli, in cui la soggettività ha guadagnato valore a prezzo di maggiori solitudini e la coppia, per quanto instabile, è diventata più importante della famiglia. E, forse soprattutto, da quando nascere non è più un fatto naturale bensì una scelta, mettere al mondo un bambino è diventato psicologicamente, emotivamente, troppo faticoso: perché investe una responsabilità avvertita come troppo forte e tale da produrre vertiginosi sensi di inadeguatezza.
Non c’è nessun motivo per rimpiangere il passato e ci sono tante sperimentazioni di un modo nuovo di vivere la maternità – meglio la genitorialità: col figlio da crescere insieme – da valorizzare. Ma si può – insieme ai provvedimenti che competono alla politica e alle istituzioni – provare a ridare dignità culturale alla nascita e alla crescita dei bambini? E come?
Mi sentirei di indicare alcune linee.
Da una parte, l’urgenza di immettere, a scuola, l’Educazione emozionale/sentimentale, per favorire l’autostima, la capacità di relazioni in un mondo sempre più complesso. È all’interno di questa educazione che dovrebbe collocarsi l’educazione sessuale, come rispetto di sé e dell’altro, come consapevolezza che siamo, volendo, liberamente e responsabilmente, esseri generativi.
Dall’altra un’attenzione al linguaggio. Negli ultimi decenni, per esempio, avrò letto almeno diecimila volte di diritto all’aborto senza mai – mai, proprio mai – leggere, se non nell’ultimissimo periodo, di diritto alla maternità. Potrebbe essere utile sostituire al termine contraccezione, che carica di negatività il concepimento, con la pianificazione responsabile delle nascite o terminologia simile.
Terzo e forse più importante: Sarebbe il caso di parlare di più di genitorialità, di condivisione di un progetto di crescita. Un figlio impone che la donna che l’ha generato diventi madre e l’uomo che l’ha generato diventi padre. Non sono processi semplici, al contrario. È tutto molto complicato e molto faticoso. Ma rende la vita più grande, più larga, più profonda.
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