C’è stato un tempo in cui ho sentito l’urgenza delle parole. Dette o scritte, ma, comunque, esplicite e immediate: come un dovere, una necessità di prendere posizione. In pubblico. Nello stesso tempo, nel privato, molte parole le ho taciute: relegate nel rimurginio della mente, nella logorazione del cuore, nell’ancorarsi al non detto per reggere il peso della vita.
Oggi, la gabbia toracica trattiene a stento l’urlo, squassante, che vorrebbe esplodere, ma, di parole, ne ho sempre meno. Ne dirò ancora, nel pubblico, ma con più parsimonia. Quanto al privato, forse è il tempo di un silenzio più netto, del cuore che si denuda a se stesso, del pensiero che si fa chiaro e impara a bruciare nel fuoco le scorie e a dare voce solo quello che costruisce vita.
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