Cammino veloce, di prima mattina,
su una stradina semideserta.
I miei pensieri trapassano da
alcune problematiche di lavoro (questo, per la scuola in carcere, è un anno di novità
non semplici) al racconto d’un’amica giornalista, che – andata qualche giorno
prima a intervistare una signora che ha perso più di un figlio di morte violenta
– si è sentita dire d’un altro: «Di lui sto
a pensiero tranquillo: quello deve stare a Nisida un po’ di anni.»
Mi distrae una macchina ferma che,
appena comincia a muoversi, viene raggiunta di corsa da un signore, sbucato da
chissà dove. Non è un parcheggiatore abusivo, non mi pare che questa stradina ne
abbia. Il guidatore, con accanto una donna, gli porge un qualcosa. Sembra una
bomboniera e, forse, lo è perché il signore, quasi inchinato e con tono
cerimonioso, ripete più volte: «Auguri, auguri», per poi precisare: «Auguri
doppi, signora, auguri doppi, per il matrimonio e per il vostro stato interessante.»
Chissà quanti anni sono che non
sento più, per indicare, l’attesa di un figlio, l’espressione stato interessante.
Il termine interessante mi riaggancia ai miei pensieri.
Forse per troppi, i ragazzi che
arrivano a Nisida sono davvero interessanti
solo quando/se hanno combinato guai seri
tanto da riempirci qualche pagina di cronaca e magari un titolone in prima pagina.
Mi chiedo se la libertà effettiva dei miei prossimi allievi possa passare più
facilmente dal diventare così normali dal
non essere quasi visti oppure dal
diventare così interessanti per
quanto riescono a fare in ciò che è giusto e bello da annullare ogni precedente
livello di interesse nei loro confronti.
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