venerdì 6 marzo 2020

L'apprendista di Gian Mario Villalta





«Non c’è pericolo che la chiesa chiuda, dice tra sé mentre guarda la piazza, riconosce una coppia che arriva per cena in trattoria. Non chiude mai la chiesa finché ci sono morti da seppellire. Nati sempre di meno. Ma di morti ce ne sarà sempre. Saranno i neri, a un certo punto, per adesso ci sono stati già i primi extra dell’Est messi nel cimitero da noi, albanesi, romeni. I cinesi non si sa dove portano i morti. Ma la chiesa non chiude, finché si muore, sta’ sicuro. Però almeno la messa grande potrebbero farla meglio, scusa, la gente va ovunque tranne che a messa e a messa ci sarebbe tutto, si canta, si parla della vita sul serio, si sta tutti insieme. Si potrebbe anche muovere tutti insieme le mani mentre si prega cantando. E la musica vera, non quelle risciacquature di Sanremo. C’è una pala di Tiziano qui dentro! Compravano i quadri da Tiziano, che era il più figo di tutti, se ascolti bene la Serena. Oggi si dovrebbe suonare la musica di un fuoriclasse, uno di quelli che sentono tutti. Tilio va a vedere su Google le canzoni più belle del duemiladiciannove, ecco qui Lewis Capaldi, Someone You Loved. Il Papa dovrebbe chiamare questo Capaldi e chiedergli: “Scrivimi un pezzo”. E tu vai a messa come la cosa più bella che hai da fare la domenica, secondo me, pensa Tilio, non è che al Signore paghi un’ora di tedio, se è vero che sta qui dentro. Ti piace il campo sportivo, ti piace la palestra, e ballare, e al cine, dimmi tu se non ti piace trovarti a casa del Signore. La meglio musica, i balli, i vestiti più costosi che ti riesci a comprare. Questo merita, o no? Don Luigi dice che tutti vanno dietro alle cose del mondo e trascurano la verità, per questo ignorano la chiesa. Non vorrei bestemmiare, pensa Tilio, ancora sulla porta della sacrestia, la verità è Dio, va bene, ma con le cose del mondo che cosa si fa? A Dio, secondo te, non importano? Mica ne abbiamo di altre. E perché le ha create, se non ci devono importare? Adesso la luce si vede che sta andandosene e forse è meglio se si incammina verso casa. Però anche oggi durante il secondo suffragio del pomeriggio don Luigi ha insistito sull’argomento, e don Luigi è sempre troppo sciatto. Durante la predica si è perso un paio di volte, come sempre. Inizia un discorso e poi non lo finisce. Riattacca a caso leggendo di nuovo una riga dalle Scritture. Don Luigi si è preso in un tramaglio, non la finiva di criticare tutti quelli che avevano lasciato Dio per correre dietro alle cose che non valgono niente e poi aveva aggiunto altro, lo aveva ripetuto più volte, qualcosa come inutili, futili, qualcosa del genere, continuava a ripeterlo. E poi ancora da capo che gli uomini abbandonano la chiesa e cercano la felicità dove non possono trovarla. Si è ingarbugliato nel vicolo cieco delle cose futili, inutili, vane, la vanità delle cose, ha ripetuto più volte. Poi si è incantato. È rimasto con la bocca aperta a metà. Finalmente ha abbassato gli occhi sulla pagina del messale e ha letto: Le mie pecore ascoltano la mia voce... Poi da lì ha ricominciato, già un altro discorso, sulla voce di Dio. Perché non parli a questi quattro che sono qui, si immagina di dirgli Tilio, invece di tormentarli minacciando quelli che non ci sono? Ché poi se è tutto il contrario? Se è stato Dio che ci ha abbandonati? Tilio va’ a casa, si dice, mentre aspetta davanti alla porta della sacrestia, che cosa aspetta non lo sa, che faccia buio del tutto, ecco che cosa aspetta. Come può l’uomo che di fronte a Dio non è niente farlo sparire, pensa Tilio mentre si comanda di fermarsi con quei discorsi che è ora di andare, al massimo l’uomo può nascondersi, voltargli le spalle, bestemmiare, questo può l’uomo, se Dio è Dio. Allora che cosa resta da pensare: è lui, Dio, che ha abbandonato l’uomo. Ha lasciato questo mondo, gli ha voltato le spalle. Forse è altrove, ci sono galassie migliori. Non può essere colpa dell’uomo, perché, grazieadio, la colpa l’uomo l’ha sempre avuta, non è che Dio la scopre adesso. Diciamo che l’ha fatto lui, ecco: e non lo sa allora chi è, l’uomo, non l’ha sempre saputo? Si è stancato di giocarci. L’uomo è stato il suo giocattolo e lui si è stufato. Magari c’è ancora, chi lo sa? Ma non si occupa più di certe cose, ha trovato qualcos’altro per passare l’eternità. Adesso non esageriamo, pensa Tilio, questo diventa bestemmiare. Però come può essere che l’uomo, io per esempio, abbia deciso di abbandonare Dio? Chi sarei mai per poter decidere una cosa del genere? È lui che non mi trova più interessante. Il buon Dio ci ha mollati qua, come giocattoli rotti. Adesso fa davvero scuro, Tilio, si dice in un soffio, va’ a casa.»




Era da La miglior vita di Fulvio Tomizza (bellissimo libro, premio Strega 1977), che non mi imbattevo in un protagonista sacrestano. Gian Mario Villalta, direttore di Pordenone Libri, addirittura raddoppia in L’apprendista, (SEM, editore).

Un paese di poche anime, in provincia di Pordenone, una chiesa, la parrocchia Santa Maria degli Angeli, impreziosita da una pala del Tiziano, tantissime messe, quasi tutte di suffragio per i defunti e pochissimi fedeli, e due uomini, anziani e soli. Fredi, quasi novantenne, mai sposato, e Tilio, vedovo, non lontano dagli ottanta: il capo e l’apprendista sacrista.

Un’amicizia fatta soprattutto di silenzi, di attenzioni ruvide, di gesti goffi. Mentre le giornate e le stagioni scorrono uguali, i due uomini, l’orso Fredi e il più socievole Tilio, riflettono, spesso solo nella loro mente, sulla vita – «So solo che è stata tanta, più di quella che sono stato capace di trattenere. Anche quando sembrava poca. Più di quella che ho potuto capire» – sulla morte – «Dobbiamo stare fermi in noi stessi. Voglio dire che è difficile sapere che si muore e poi vivere come se non fosse così, ma è la soluzione migliore che è stata mai trovata dagli esseri umani» – su Dio – «E c’è un bel problema, se vuole pensarci, lei che pensa così tanto, caro Tilio: hai bisogno della fede per capire il Vangelo e la fede te la può dare solo il Vangelo (…) Il bello del Vangelo è che tu non lo sai proprio, non riesci a capire che cosa devi fare, ti tocca scommettere su dove puoi arrivare a metterti in discussione. Non c’è niente come il Vangelo, pensa Tilio, ti rovescia come un guanto.»

Un libro di grande forza, lontano dalle mode del tempo, che avrebbe meritato una copertina di impatto adeguato. Il più bello che abbia letto nei primi mesi del 2020 (ne ho letti parecchi e alcuni belli). Lo consiglio caldamente, soprattutto in questa Quaresima che sembra spingere la Pasqua in un futuro più lontano e nebuloso.

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