domenica 25 maggio 2025

L'Europa, nostra identità "minima"


Un amico, Giuseppe Laganà, ha organizzato un momento di “ecumenismo popolare. Dopo più di 300 anni l’Ortodossia è tornata a pregare, insieme ai Cattolici, dove è stata presente per 500 anni”. Con il parroco cattolico di Santa Maria del Lume di Pellaro, i monaci ortodossi di Stilo hanno celebrato “il Panegirico, l’Artoclasia (Benedizione del pane, vino, olio e grano) e la venerazione della Sacra Icona di San Filippo ‘Cacciaspiriti’”, nei ruderi di una chiesa già ortodossa non lontanissima dal Castello di Sant’Aniceto.

Iniziativa importante, che si inserisce in una trama di recupero della storia, fattuale, culturale, spirituale del territorio, sicuramente da plauso: forte, sincero e augurale per nuove, ripetute, consimili iniziative.

Le considerazioni cui mi porta, come mi portano spesso fatti ed eventi di quel territorio sono, però, relative anche all’estrema frammentazione dello stesso.

Sono nata e cresciuta a pochi chilometri dalla chiesa/rudere in questione, ma non ho mai avuto alcuna percezione di precedente presenza orientale/ortodossa sulla mia “fetta di Calabria”, nel triangolo di terra in cui si è svolta una parte della mia vita. Ma non perché sono stata disattenta, miope ecc. Piuttosto perché non mi pare proprio ce ne sia traccia (L’unico riferimento che potrei trovare è che una mia prozia si chiamava Teodora, ma, appunto, era di Motta, non di Pellaro).

A differenza di persone della Locride conosciute da adulta e più che adulta, non ho, perciò, mai avuto motivi di sentirmi “orientale”: mi sono percepita magnogreca (elemento che fa ancora parte di me), ho riconosciuto facilmente le tracce della romanità che ha segnato il “mio” territorio (ripeto: a poca distanza da quello di San Filippo), non mi sono mai avvertita neppure lontanamente erede della fase bizantina della Calabria. (A Reggio, talvolta, andavo nella Chiesa dei Cattolici dei Greci, dove si pregava come nelle altre e dove – ma ero già non lontana dalla laurea – partecipai all’ordinazione sacerdotale di un conoscente che diventava prete cattolico di rito bizantino).

Considerazioni personali che terrei per me, se non pensassi che, appunto, nella storia della Calabria pochi chilometri hanno segnato realtà molto diverse. Recuperare tutte le tessere del mosaico, con tutte le sfumature di colori, sapere da dove veniamo, che cammino abbiamo fatto, è importante. Per sapere dove arrivano le nostre radici, ma, soprattutto, per affrontare meglio un mondo, globalizzato e complesso, in cui la nostra (di tutti) prima, identità "minima" non può che essere l’Europa.

 

 

 


sabato 8 marzo 2025

Perché non accada il peggio

 

Sono cresciuta a pane, incenso, bandiere rosse, Anna Frank (aveva il mio cognome, no?), e partigiani.

Non sono mai stata una fan degli Usa, anzi. Come tanti della mia generazione ho urlato contro l’imperialismo americano, ho ammirato i Vietcong e Salvatore Allende e, come alcuni della mia generazione, ho sperato che Dubcek ce la facesse a dar vita al “socialismo dal volto umano”. Ho vissuto dall’interno, negli anni del mio passaggio tra infanzia e adolescenza, i cambiamenti che il Concilio ha prodotto nella Chiesa cattolica. 

Mai, neppure per un momento, ho pensato che “tutte le guerre sono ingiuste”. La guerra è tragica, produce morte, dolore, distruzione, rovine, odi ecc. ecc. Va “ripudiata” come dice bene la nostra Costituzione “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma va affrontata  con coraggio quando non c’è altra soluzione verso chi la guerra la produce e la attua.

Non sarei qui a dire (a poter dire) quello che penso se Stati e persone non avessero preso le armi, non avessero accettato di essere in guerra, contro il mostro nazifascista. (Non ho neppure mai pensato che la “vita” sia un valore assoluto: ci sono circostanze in cui la vita va “perduta” per essere “salvata”).

Grazie a quella lotta, grazie alla creazione, per quanto limitata e deficitaria, di un’Europa Unita, io, come tutti noi, ho vissuto tutti i miei anni in pace e libertà.

Se si lasciasse oggi spazio, dopo aver chiuso troppe volte gli occhi (vedi Crimea), al prevaricante espansionismo russo (povera Russia passata dallo zarismo allo stalinismo al putinismo, nonostante ci abbia dato tesori inestimabili di cultura, in particolare, ma non solo, letteraria), non solo temo – ma proprio ho pochissimi dubbi – che la generazione di quelli che ora sono bambini potrebbe essere costretta, tra pochi anni, a prendere le armi come “sacro dovere del cittadino” (testuale nella nostra Costituzione) nei confronti della propria patria (che oggi è l'Europa).

Perché ciò non avvenga, l’Europa deve continuare a sostenere l’Ucraina (come è pensabile che chi non si è arreso subito a Putin si possa piegare senza lottare a Trump?) e deve armarsi adeguatamente, senza aspettarsi più nessun ombrello protettivo dagli Usa (ipocrisia suprema: quanto siamo  belli a volere la “pace”, sapendo che, nel caso, qualcun altro penserebbe a noi).

sabato 1 marzo 2025

Ucraina ed Europa: un destino comune

 

Con l’osceno (in senso proprio: non guardabile) trattamento riservato ieri dal presidente americano e dal suo vice (che meriterebbero tutte le male parole possibili) a Zelensky si chiude, per l’Occidente, la fase storica iniziata a Yalta. Fase che, con tutti i limiti, gli errori, e qualsivoglia mancamento o anche colpa, ha consentito agli Stati Uniti la leadership mondiale e all’Europa occidentale di vivere ottanta anni di pace e di benessere.

Oggi l’America ha la faccia di un usuraio che per arroganza, pretese e modi non ha nulla da invidiare a un gangster, a un capo mafia, a un boss criminale. E l’Europa è, e soprattutto si avverte troppo debole per prendere davvero della realtà: che è sola, stretta tra due nemici, la Russia di Putin e l’America di Trump, con la Cina sullo sfondo pronta ad approfittare dagli eventi. In Europa, insieme a molta stupidità e una miopia che rasenta la cecità, circolano e hanno ruoli di vertice troppi ignavi pronti a tirare i remi in barca, a fare da vassalli al feudatario di turno, piuttosto che assumersi la responsabilità del nostro futuro.

Quanti vorranno e sapranno far seguire alle affermazioni di vicinanza all’Ucraina e a Zelensky – il minimo che si poteva fare ieri, ma cui la nostra presedente del Consiglio si è sottratta (Ponzio Pilato da noi va per la maggiore) – un sostegno reale, necessario soprattutto ora?

Eppure, in questi ultimi tre anni – e mai come da ieri – il destino dell’Ucraina e quello dell’Europa viaggiano insieme.