domenica 17 marzo 2024

Sonia Serazzi: la consiglio (anche) a Langone

 

Qualche giorno fa Camillo Langone, sul Foglio, si lamentava per la difficoltà di trovare, per un suo pezzo, «scrittrici italiane viventi. E con una scrittura che sia voce, anziché eco (…) scrittrici dotate di lessico e pensiero personali, eredi delle varie Ortese, Ginzburg, Campo, Fallaci…», ovvero scrittrici con  «uno sguardo imprevedibile e dotato di senso» e non «donne che scrivono libri su donne per donne, con dentro mamme e nonne e bambini, ambientati in manicomi e paesini (spesso del Sud, quel Sud dove non si legge ma dove si ambientano i romanzi). Insomma storie trite.»

Tra quelle (non tantissime in verità, glielo concedo: ma vale anche per gli scrittori) che potrei suggerirgli, mi vorrei soffermare su Sonia Serazzi che, dopo Non c’è niente a Simbari Crichi, E le ortiche c’hanno ragione, Il cielo comincia dal basso, ha recentemente pubblicato, sempre con Rubbettino, Una luce abbondante.

Il Sud di cui parla Sonia Serazzi non fa riferimento a miti antichi, ai cliché della ‘ndrangheta e neppure a quelli del riscatto di una realtà marginale. È, piuttosto, un mondo buffo e surreale, fatto di luoghi scalcinati e di personaggi sghembi in cui emergono le pietre luminose di chi, povero, sa riconoscere ogni lucente novità della terra dove «ci sono le nespole coi noccioli lisci da sputare nel piatto, e le ginestre fiorite, e le cime di rapa soffritte con l’aglio, e il sole dopo la centrifuga della lavatrice, e le carezze della moglie per addormentarlo» e «i fiori arrivano, nei campi e sugli alberi, anche se capita che una notte di gelo allontani per sempre qualche bocciolo dal frutto, eppure il bocciolo non si arrende, solo rinuncia alla polpa dolce e resiste con tutti i petali che ha, e si contenta d’essere al mondo finché può. Poi viene il momento in cui il fiore dondola sul ramo, e un bimbo col naso all’insù lo sorprende a sfogliarsi per aria, e sorride perché alla fine gli pare un regalo di coriandoli dal cielo» (Il cielo comincia dal basso)

I piccoli che abitano i suoi paesi immaginari, fantasiosi e realistici insieme, stanno dentro uno sguardo che non si considera più alto o più importante o più grande di loro: «Per me ho compreso che mi sostiene quello che è piccolo e trasparente, e mi ci sono avvoltolata per vivere. (…) Ho passato anni interi ad appuntare anche i più minuti dettagli delle esistenze che incontravo: coltivavo il delirio di poterle preservare dal nulla a forza di parole. Non so bene quando ho smesso, forse quando mi sono resa conto che di vite ce n’erano troppe da imbottigliare contro le onde. Insomma mi sono arresa per stanchezza all’evidenza di non essere Dio. E appena ho ricominciato ad accontentarmi della terra, ogni cosa è diventata per me vivida e lustra, degna di un’attenzione che è quasi preghiera.» (Chiedo istruzioni ogni notte, scambi epistolari tra Sonia Serazzi e Antonio Cavallaro)

Lo stile che permea tutti i suoi romanzi per raggiungere una più densa e armoniosa maturità nell’ultima fatica, Una luce abbondante, è del tutto personale. La scrittura di Sonia Serazzi non è una scrittura di testa e neppure una scrittura di cuore, è una scrittura d’anima capace di restituire, in un ricamo paziente di strane storie, non una verità, ma la Verità: quel nucleo di bene che sta dentro le persone e dentro il mondo, oltre ogni ideologia, ogni moralismo, e anche ogni intellettualismo: la sapienza della stupidità, sulle orme di Teresina di Lisieux: «Io credo in un Dio che dilata l’anima, o forse la affila in profondità, perché la sapienza – quella che viene dal Signore – accende ogni cosa, incurante del verso, del dritto e del rovescio, restando radiosa.» (Chiedo istruzioni ogni notte)

In un panorama narrativo in cui ci sono troppe parole vuote, troppe parole scritte per diventare un soggetto tv, troppe parole-chiacchiera, quelle di Sonia Serazzi è come se fossero estratte da un lungo silenzio contemplativo e si facessero luce abbondante anche nel buio.

In un paese in cui – sia quando si considerava “cattolico” sia nell’attuale fase di indifferentismo religioso (lasciando da parte Dante e Manzoni e pochi altri) – non si è mai prodotta una narrativa cristiana, Sonia Serazzi scrive ottimi romanzi (sono tutti romanzi brevi: misura perfetta) impregnati di spirito evangelico: un piccolo miracolo, insomma.

giovedì 14 marzo 2024

Una luce abbondante di Sonia Serazzi

 

Francabbù ha dovuto imparare presto «a sbrigare quasi tutto da sola: faccio bollire la pasta per tre; stendo i panni appena vedo il sole; spazzo i pavimenti; apparecchio e sparecchio; mi cambio i vestiti quando è necessario; mi taglio le unghie cortissime; faccio i compiti senza macchiare i fogli dei libri; scrivo la letterina a Babbo Natale e appendo la calza per la Befana ogni anno; gioco il giusto e non piango mai.» Sua madre, Marinzaina, ha sei dita per mano, gioca con le biglie, accumula oggetti di ogni tipo ed spesso sopraffatta da onde che le scuotono la mente. Spesso si sente gravida di qualche carabiniere e partorisce angeli invisibili. Suo padre, Silverio, è «un mezzo prete pentito e un fornaio che regalava pagnotte ai poveri, finché aveva farina da impastare e soldi per comprarne, ma i soldi sono finiti prima dei poveri» e ha trovato lavoro come autista di ambulanze.

Ha due soli amici la piccola Francabbù: Marsol«Il fratello mezzo muto me lo ha procurato mamma: lui era andato dai dottori a farsi sciogliere la lingua, e lei a convincersi che gli angeli non hanno bisogno della sua pancia per esistere. Sono usciti quasi sani dall’ospedale, e si tenevano per mano.» e Sarsì, una bambina cui manca l’aria e ha bisogno di portare la bombola d’ossigeno sulle spalle, cui fa da madre «suor Teresa di Cristo e basta!», che, rimasta senza consorelle, per lei si è tolta il velo e lavora giorno e notte.

È un paese come tante periferie marginali Sacrovento, il luogo dove abitano. Ci sono «tetti sfondati, erbacce sui ballatoi di case abbandonate, baracche di lamiera, viottoli polverosi al posto delle strade, campi splendenti di verde punteggiati di sacchi di spazzatura squarciati, bimbi soli che passavano le giornate a dipingere i gatti con certi colori indelebili rimediati frugando in mezzo ai rifiuti delle scuole.»

 

Francabbù oscuramente sa che «Non è giusto!», e a volte vorrebbe «una mamma che fa le torte e un padre che guarda le partite di calcio come tutti. (…) E davvero certi giorni mi sento una formica senza una fila da seguire per terra. Eppure resisto: l’ho imparato da mio padre che si può bere veleno senza morire, dunque intendo scoprire se papà mi insegna cose giuste, anche quando non le capisco.»

È il padre ad assicurarla che in lei non c’è nulla di difettoso e neppure nei suoi amici: «“Tu sei tutta giusta, perché sei creatura di Dio!” disse con la stessa voce di quando doveva correre al lavoro per salvare qualcuno. “Ma se sono giusta perché a scuola non lo sanno?” gli domandai. E lui mi spiegò che lo sapeva il Signore, ed era meglio. “Quindi io con la mia testa sono giusta come Marsol con la sua lingua, come Sarsì con la bomboletta e come mamma con tutte le sue dita?” cercai di capire. “Esatto!” annuì mio padre. Poi mi spiegò che essere giusta non significava essere il meglio, ma solo essere quello che si è. “Un gatto non si vergogna della sua coda, né un tacchino del suo becco” mi spiegò papà. »

Con Una luce abbondante Sonia Serazzi – già autrice, tra l’altro, di Non c’è niente a Simbari Crichi e di Il cielo comincia dal basso (tutti editi da Rubbettino – firma un piccolo miracolo: un romanzo breve pieno di fantasia, con una scrittura densa ma con la leggerezza e l’armonia della danza,  percorso da un profondo spirito cristiano: come un soffio di Vangelo, senza ombra di ideologia né di moralismi, senza pauperismi ma attento «a non sgualcire col giudizio la fatica di ogni esistenza che si dispiega come meglio può.» Una buona notizia anche per la narrativa italiana.

 

 

 

Sonia Serazzi Una luce abbondante Rubbettino, pp 130, euro 14

 

 Pubblicato su Zoomsud

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