domenica 15 marzo 2020

Cronache da un'epidemia 6





Già il Mercoledì delle Ceneri, con il Nord in emergenza, il concerto per tossi e starnuti nella chiesetta sotto casa, zeppa di persone una azzeccata all’altra, mi aveva turbato. Mi era già sufficientemente chiaro che anche a Sud stare il più possibile a casa sarebbe presto diventato un dovere civile.

Sarà che sono una cattolica molto imperfetta e anche, come diceva un vescovo che mi è caro, un po’ protestante (in effetti Bonhoeffer mi dice molto di più di alcuni predicatori cattolici). Ma a me, di questi tempi, sembrano più giuste e belle le chiese vuote, e, nel caso, chiuse, che quelle piene.

So bene che non tutti/e hanno, nella loro casa, lo spazio (quello in metri e quelli delle relazioni familiari e della propria mente) per poter usufruire, in libertà, del crescente numero di celebrazioni e meditazioni che la tecnologia attuale (fino a qualche giorno fa magari guardata con sospetto) consente; di scegliere quelle più vicine alla propria sensibilità, di affrontare un percorso personale e comunitario adatto al frangente storico che ci è capitato di vivere. E che, quindi, quella che a me appare come una povertà potenzialmente feconda possa produrre ulteriore ansia, accrescere paure ancestrali, aumentare la difficoltà di questi giorni già pesanti di loro.

Eppure, questa, è una Quaresima propizia a chi sente il bisogno/la nostalgia del Vangelo.

Torneranno i prati, diceva il grande Olmi. Chissà, magari le chiese di mattoni accoglieranno persone nuove.


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