Già il Mercoledì delle Ceneri, con il Nord in emergenza, il concerto per tossi e starnuti nella chiesetta sotto casa,
zeppa di persone una azzeccata all’altra, mi aveva turbato. Mi era già
sufficientemente chiaro che anche a Sud stare il più possibile a casa sarebbe
presto diventato un dovere civile.
Sarà che sono una cattolica molto
imperfetta e anche, come diceva un vescovo che mi è caro, un po’ protestante
(in effetti Bonhoeffer mi dice molto di più di alcuni predicatori cattolici).
Ma a me, di questi tempi, sembrano più giuste
e belle le chiese vuote, e, nel
caso, chiuse, che quelle piene.
So bene che non tutti/e hanno, nella loro
casa, lo spazio (quello in metri e quelli delle relazioni familiari e della
propria mente) per poter usufruire, in libertà, del crescente numero di
celebrazioni e meditazioni che la tecnologia attuale (fino a qualche giorno fa
magari guardata con sospetto) consente; di scegliere quelle più vicine alla
propria sensibilità, di affrontare un percorso personale e comunitario adatto
al frangente storico che ci è capitato di vivere. E che, quindi, quella che a
me appare come una povertà potenzialmente feconda possa produrre ulteriore
ansia, accrescere paure ancestrali, aumentare la difficoltà di questi giorni
già pesanti di loro.
Eppure, questa, è una Quaresima propizia a
chi sente il bisogno/la nostalgia del Vangelo.
Torneranno i prati, diceva il grande Olmi. Chissà, magari le chiese di mattoni accoglieranno persone nuove.
Torneranno i prati, diceva il grande Olmi. Chissà, magari le chiese di mattoni accoglieranno persone nuove.
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