Il termine sicurezza occorre
11 volte nella nostra Costituzione. Nel senso di compiti di pubblica sicurezza
oppure di problemi di fronte ai quali si possono decidere limitazioni per i
cittadini. Per esempio, quelle attualmente stabilite dal governo per
difendere la salute di tutti rispetto al coronavirus. Mai il termine sicurezza è legato al temine diritto. La Costituzione non parla di diritto alla sicurezza, perché
ingloba il concetto nelle due linee prima enunciate.
Sono andata a verificarlo in seguito alla morte di Ugo, il
quindicenne ucciso, nel corso di una tentata rapina, da un giovane carabiniere.
Un evento che a me è sembrato una tripla tragedia: per Ugo, per il carabiniere
e per la città. Mi hanno lasciato esterrefatta il numero e la violenza
verbale di quanti hanno liquidato la morte del ragazzino come il “giusto” esito
di un reato: soprattutto perché, in questo senso, ho visto esprimersi persone
di livello sociale e culturale medio-alto, di orientamento politico di sinistra
riformista, di cui, in altre circostanze, avevo avuto modo di apprezzare la
sensibilità.
Il tutto in nome della sicurezza.
Che è, chiaramente, necessità di tutti. Bisogno primordiale, esigenza più
che legittima. Condizione indispensabile di un’ordinata quotidianità. Chi,
qualunque sia il suo orientamento politico, non vorrebbe camminare per
qualsiasi strada della città e a qualsiasi ora, senza dover sentire se stesso e
gli oggetti che porta addosso, dal portafogli all’orologio, in pressoché
perenne pericolo?
La sicurezza è
fatta di regole da rispettare, sufficiente controllo del territorio da parte
delle forze dell’ordine, pene certe per
chi, le leggi, le infrange. Ma, anche se tutto ciò fosse realizzato, resterebbe
incerta se non si applicasse quello che è il vero articolo della Costituzione
sulla sicurezza. Anche se il termine non c’è.
Dice la seconda parte dell’articolo 3 che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.»
Non
dubito che la responsabilità penale sia personale e neppure che, anche quando i
propri diritti non vengono rispettati, si ha il dovere di rispettare le norme.
Ma lo Stato non può esimersi dal compito di “rimuovere gli ostacoli” che “impediscono
il pieno sviluppo della persona umana”. Vale sempre, vale soprattutto per i
ragazzi. Quelli marginali. Che
balzano in prima pagina solo per un reato oppure per una morte. Data o subita.
Guardo il grafico che hai inserito e già resto sconcertata. Come sarebbe possibile non indagare il carabiniere? Sarebbe ovviamente la fine del diritto. A chi si schiera come allo stadio vorrei poi ricordare che i ragazzi come Ugo nella nostra città sono tanti, troppi. Deprivati di tutto. Una parte sceglie la via dell'onestà per poter "mettere la capacità sopra al cuscino ogni sera", come spiegano loro stessi a chi ha voglia di ascoltare. Altri pensano che furti, spaccio o rapine siano meglio di una vita faticosa e comunque incerta anche se onestà. Io penso che abbiano torto. Ma penso anche che Ugo e i suoi fratelli abbiamo gli stessi diritti di mia figlia anche se nessuno glieli riconosce. E soprattutto ritengo che anche loro siano cittadini: se sbagaliano pagano, ma non con la pena di morte. Almeno in Italia.,
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