mercoledì 11 marzo 2020

Cronache da un'epidemia 3



Immagine dal Web
Mia nonna ha superato la spagnola, mia madre l’asiatica (prendendole). Riuscirò io, a evitarmi il coronavirus e/o, nel caso, uscirne viva? Che noi, come Paese, ne usciremo, è certo. Che ne usciremo come singoli – intendo il noi più vicino, quello che, per ciascuno, comprende se stesso e le persone che più gli sono care – non è detto. “Andrà tutto bene”, ancora più del solito, è un augurio che nasconde la paura (preoccupazione, tensione: per ognuno una sfumatura) che non sarà così. Sono giorni strani. Mai, forse, abbiamo avuto tanto tempo nelle nostre mani: e, in qualche modo, questo rischia di sopraffarci. C’è chi riesce a stare col cuore fermo in un’occupazione, ma, in tanti, ci si ‘ntallea, si comincia una cosa, se ne fa un’altra, si perde tempo: come non si riuscisse a nuotare per eccesso di mare. Magari, sarà utile anche questa sorta di otium per essere pronti – nuovi – al giorno in cui, chi resterà, rivedrà, sul Paese, riapparire la luce.


La fede al tempo del coronavirus. Per il cattolicesimo italiano, quest’esperienza segnerà una svolta. Come, non so. Ma succederà. All’inizio di questa Quaresima, come altri prelati in uguale e/o simili occasioni, anche il Papa aveva ripetuto il refrain, cito a memoria, di “spegnere la televisione e staccarsi dal cellulare.” Come se il virtuale non fosse ormai vita reale. Oggi, con la sua Messa mattutina, trasmessa dalla tv, il Papa si fa pastore-prossimo ad un popolo in difficoltà. E su fb e twitter, visibili anche da cellulare, girano in streaming non solo tetre celebrazioni e apocalittiche invettive, ma frammenti di Parola spezzata: che, in qualche modo, reinventano modalità del riconoscersi come fedeli. Forse, neppure in guerra, una Quaresima così propizia alla conversione.



Ho chiuso il nuovo libro di Nisida nel pomeriggio dello scorso sabato, qualche ora prima dell’allargamento della zona rossa. Mi è apparso chiaro – definitivamente: lo sospettavo da un po’ – che l’obiettivo di un nuovo volume pronto per il Salone del Libro di Napoli, previsto per gli inizi di aprile, non sarebbe stato raggiunto. Causa rinvio del Salone stesso, come ufficialmente accaduto qualche giorno dopo. Abbiamo presentato i primi dieci volumi del progetto Nisida come Parco Letterario in primavera. L’undicesimo, anch’esso edito da Diego Guida, chissà. Ma ci sarà: ed è quello che conta. C’è un problema crescita dei minori, a Napoli – in prima pagina, quando un eclatante fatto di cronaca nera lo impone, e poi trascurato. C’è, in Italia, un grossissimo problema carceri: che buona parte del Paese vuole ignorare, anche quando si arriva ai morti di questi giorni. E c’è un Paese che sta sperimentando una sorta di arresti domiciliari (indispensabili per salvarsi). I ragazzi di Nisida, e chi, nel prossimo libro, alle loro parole dà veste narrativa (Viola Ardone, Sara Bilotti, Riccardo Brun, Daniela De Crescenzo, Mario Gelardi, Antonio Menna, Patrizia Rinaldi) e, soprattutto, alcuni ex ragazzi/e, già ospiti della piccola isola, hanno molto da dire. Urbi. Et Orbi.

  
Fosse stato un tempo normale, questa, sarebbe stata, per me, una settimana particolarmente impegnata. E con una novità: una puntata su di me di Donne che sfidano il mondo, la docuserie di Riccardo Brun su Sat 2000. Caso vuole che, quando la trasmissione, ora rinviata per cambio del palinsesto relativo al coronavirus, andrà di nuovo in onda, ricominceranno proprio da questa puntata. Sarà tra le cose, piccole, minute, infinitesimali che segnerà un ritorno alla quotidianità. Mi sembra una bella cosa.



Medici, infermieri prima di tutto. Ricercatori. Tutti quelli che devono continuare a lavorare per dare un minimo di normalità alle nostre vite. Eroi di necessità (si è sempre e solo eroi per necessità) dei nostri giorni. Belle le cassiere del supermercato, in guanti e mascherina, che sono rimaste le stesse: quella col sorriso, quella più schiattosa, quella che pensa ad altro mentre ti dà il resto.



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