domenica 17 dicembre 2023

Non c'è Natale senza Eduardo

 

Pomeriggio di metà dicembre. Il primo giorno di freddo vero. Non ho voglia di leggere nessuno dei libri che potrei cominciare o continuare. Vedo Natale in casa Cupiello. Come sempre, da una vita, di questi tempi. Non c’è nessun libro, nessuna opera fatta di parole di cui ricordi le singole frasi con altrettanta tanta precisione. Le battute di Natale in casa Cupiello fanno parte del mio lessico familiare quotidiano. Eppure solo oggi colgo davvero lo stridore tra le situazioni comiche e la complessità della vicenda che vi si racconta. E non mi sembra più una commedia, ma un dramma, se non una tragedia. Mi risale in gola dalle viscere una tristezza fatta di mille tristezze e mi è così difficile reggere la malinconia per il dolore di ogni vita – un dolore i cui motivi vanno ben oltre il contesto storico (e, quindi, sociale ed economico) e attengono all’essenza stessa dell’esistenza, alla sua incompiutezza e fragilità – che più volte devo mettere in pausa.

Ho finito di vedere Natale in casa Cupiello il giorno dopo. Contenta di averlo rivisto. E di aver meglio colto la drammaticità di questa commedia. Magari, nei prossimi anni, scoprirò ancora di più. Di certo, lo rivedrò. A me il presepe piace. Molto.

martedì 12 dicembre 2023

Microstorie: Il Natale di Cettina

 

Alle otto di sera, Cettina Sala accese il fuoco sotto un pentolino. Quando l’acqua bollì ci buttò dentro una cinquantina di grammi di corallini. Mangiò la sua pastina con molto olio e tanto parmigiano gustando con calma ogni boccone, vedendo, al computer, l’ultima parte di Natale a casa Cupiello che, a pezzi, aveva accompagnato tutta la sua giornata.

Era stata proprio una bella giornata, quel Natale. S’era alzata più tardi del solito e, a messa, non era andata alla solita chiesa. Aveva preso il pullman e raggiunto una basilica che, sul tabernacolo, portava una raggera di finto oro. La luce si concentrava in quel punto dando un senso di rasserenante intimità che niente, quel giorno, aveva scalfito. Anche il tempo – il cielo grigio ma non plumbeo – aveva favorito un quieto raccoglimento.

S’era preparata un pranzo che – a lei che mangiava poco e niente – era apparso luculliano: rigatoni con due polpette al sugo. Ne erano venute sei: due le aveva congelate per Capodanno, due per l’Epifania. E vi aveva aggiunto una fetta di panettone e dei dolcetti della sua infanzia che aveva preparato nei giorni precedenti. E un bel caffè, forte e aromatico.

Aveva fatto qualche augurio e qualche augurio aveva ricevuto, coprendosi, nel caso, con una piccola bugia: che aveva come ospite una zia americana, una parentela scoperta da poco.

La verità era, invece, che solo da poco tempo, ormai più che settantenne e da anni in pensione, aveva accettato la sua natura. Non aveva niente contro nessuno, anzi a tutti augurava ogni bene. Ma era stanca di frequentare chiunque, non aveva più voglia di andare a cinema o a teatro. Se ne avesse avuto la forza, avrebbe provato a occuparsi di qualche opera benefica. Ma anche quella forza si era esaurita. Stava bene quand’era sola. Leggeva molto, s’informava dei fatti del mondo, curava le piante sul balcone. Pensava. E non si sentiva più in colpa per la sua scarsa socialità, per la scelta di un quasi eremitaggio. Gustava la sua quiete, come a rifornirsi d’energia prima che gli acciacchi della vecchiaia la costringessero ad altre scelte.

Grata di quella giornata, Cettina Sala completò la cena con una mela infornata e cercò un libro che la portasse serenamente all’ora di andare a dormire.

lunedì 20 novembre 2023

Donne e Uomini felicemente adulti. E invece

 

Ho passato la mia infanzia e la mia prima giovinezza in un piccolo mondo antico, ancorato ancora a tradizioni contadine seppure in movimento. Tra la nascita mia e quella di mia madre intercorre, più o meno, il tempo di una generazione e un cambiamento epocale: lei non aveva studiato e neppure i suoi fratelli (non era la femmina ad essere privata dello studio era la necessità che i bambini, tutti lavorassero), mentre che io andassi a scuola e ne proseguissi tutto il cursus hororum nessuno l’ha mai messo in discussione.

Non so fino a che punto, in quel mondo tradizionale, si fosse consapevoli che quell’ingresso in massa delle donne a scuola avrebbe significato, nel tempo, la fine di un certo tipo di relazioni familiari e l’inizio ad un processo di modifica dei rapporti uomo-donna tuttora non del tutto definito.

Quello che ricordo è che, nella mia infanzia ma anche nella mia giovinezza, un insegnamento che mi è stato dato, in maniera diretta e indiretta, e in molti ambiti (per esempio: parenti, le monache dei miei primi anni di scuola) è che dovevo “stare attenta ai maschi”. Ogni maschio, padri e fratelli esclusi – ma non i cugini: “i cugini sono molto pericolosi” diceva suor R. – erano potenzialmente pericolosi on quanto attentatori seriali delle verginali virtù. E non era un caso che, terminato l’asilo, le classi erano rigorosamente distinte tra maschili e femminili.

Il mondo patriarcale – quello di mio nonno paterno, patriarca e galantuomo, che, secondo gli usi del tempo, comandava  ma, certo, mai avrebbe picchiato mia nonna, o i figli, o una donna in generale  (e, peraltro– aveva lasciato alle generazioni successive una sorta di codice di difesa delle donne: ritenendo che i maschi fossero, per natura, potenzialmente violenti o comunque prepotenti e sopraffattori, mettevano in guardia le donne: a loro il compito di starne alla larga e, nei confronti di fidanzati e mariti, il compito di umanizzarli, ingentilendoli.

(Per completezza aggiungerei che, c’era anche chi diceva ai ragazzi cresciuti di “stare attenti alle donne”, che volevano circuirli, farsi sposare ecc.ecc.)

Quanti uomini violenti ho incontrato nella mia vita? Sarò minoritaria, ma – in maniera diretta –nessuno. Quanti ne ho incontrati di stupidi, galletti di pollaio, convinti di essere superiori alle donne, più intelligenti, più capaci, più tutto? Parecchi. Battute volgari, o perlomeno inappropiate suelle donne quante ne ho sentite? Tantissime. Quanti ne ho incontrati di persone mature, affidabili, davvero competenti nella professione e in umanità? Davvero non pochi: alcuni miei amici sono davvero esemplari di una mascolinità positiva. La percentuale di donne stupide, ochette di pollaio, e di donne di notevole spessore che ho incontrato non è differente.

Tra me e mia figlia intercorre un’altra generazione. E a lei nessuno, che io sappia, ha mai detto di “stare attenta ai maschi”: ha sempre vissuto, a scuola e fuori scuola, in ambienti in cui c’erano bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne. E così la generazione successiva a lei.

C’è stato un lungo tempo, almeno due generazioni, forse tre, per conoscersi meglio, tra maschi e femmine, di aiutarsi a diventare uomini e donne: entrambi capaci di autodeterminarsi e di costruire qualcosa di buono, insieme. E, invece.