martedì 29 marzo 2022

Un mese che ha cambiato la Storia e le storie

 


Giovedì di Carnevale, dalle nostre parti, si mangia grasso. Magari, un piatto di rigatoni o di paccheri con un ragù cotto lentamente, la carne di maiale che si stacca dall’osso, quella di vitello che, a tagliarla, non serve il coltello, le polpette grandi e succose. E, poi, (o almeno) le chiacchiere che si sfarinano in bocca in un soffio croccante: il dolce più aereo che ci sia.

Quest’anno, giovedì di Carnevale, non abbiamo mangiato né ragù né chiacchiere. Abbiamo, giusto perché bisogna nutrirsi, messo qualcosa nello stomaco. Malvolentieri. Terrificati dall’inizio d’una aggressione bellica che, insieme alle vite e alle case di un popolo, spazzava via le prime speranze, dopo due anni di pandemia, di una primavera finalmente serena.

È passato poco più di un mese – con milioni di profughi, città distrutte, fosse comuni, atrocità indimenticabili e una Resistenza che riempie il cuore di ammirazione – e la storia è svoltata. 

Quella grande, che riguarda l’Europa e il mondo.

E quella piccola delle persone che, come me, camminano per le strade solite con in mente scompigli di pensieri sconosciuti.

La pandemia ha mutato abitudini. 

L’aggressione all’Ucraina cambia la testa, l’interpretazione della storia, del mondo, e di se stessi.

venerdì 25 marzo 2022

La guerra in Ucraina, continuazione di quella 14-18

 

Bambini ucraini disegnano la pace. Immagine dal Web

Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra.

Delle frasi storiche che hanno costellato i miei studi e le mie letture, quella di Churchill riferita agli accordi di Monaco, non l’ho mai dimenticata.

Ed è sulla base di quella lezione – le due, tre persone con cui più ho più discusso in queste settimane mi potrebbero fare da testimone – che, avessi avuto il potere di farlo o di promuoverlo, avrei dato molto di più, militarmente, all’Ucraina.

Dice: Ma così si arriva alla terza guerra mondiale. Capisco il timore, ma non lo condivido. Il presidente russo ha agito sulla base della convinzione che l’Occidente avrebbe reagito poco e niente. E l’Occidente poco e niente anche questa volta avrebbe reagito, come sulla Crimea, se l’Ucraina non avesse scelto la strada della Resistenza ad oltranza. Ed è di fronte a quella Resistenza che vorrei non dovermi vergognare negli anni a venire, come occidentale, per non aver offerto abbastanza appoggio. Anche perché più quella Resistenza fosse stata e fosse appoggiata tanto meno il presidente russo andrebbe avanti nei suoi obiettivi: perché è sicuramente fortissimo militarmente, anche per via delle atomiche, ma meno, forse molto meno, di quanto sembra.

Siamo ancora dentro gli effetti della prima guerra mondiale. E questa guerra non si concluderà, anche con l’Ucraina distrutta, se non con la fine del potere russo, della sua visione vetero zarista: l’impero russo, persa la prima guerra mondiale, si è ricostituito come impero sovietico, dando un contributo decisivo alla vittoria contro il nazifascismo, ma dominando con mano dittatoriale al suo interno e nei paesi satelliti. Nell’infinita serie di guerre che segna la storia dell’Europa, non ne usciremo, stavolta, se non con la sconfitta di Putin e del suo progetto antioccidentale.

Che la guerra sia morte e distruzione, è lampante. Che non dovrebbe accadere è certo. Che bisogna trovare soluzioni diplomatiche è addirittura ovvio (ma per negoziare bisogna volerlo in due). Ma proprio perché cresciuta col batticuore del 25 aprile – non per nulla la data che a suo tempo scelsi per sposarmi – non ho mai pensato che non ne esistono di “giuste”. Lo stesso, auspicabile, disarmo va preso cum grano salis: se, come diceva Cechov, quando in scena appare un fucile nel primo atto nel terzo sparerà, quindi meno o niente armi per tutti è meglio, è anche vero che se il paese X (magari con governo dittatoriale e guerrafondaio) sa che il paese Z (magari democratico e pacifico) è ben armato più difficilmente lo attaccherà, e, quindi, anche le armi occorrono per difendersi nel caso, ma, sperabilmente, come bastevole deterrente alla guerra.

Che tutto ciò sia reale nel 2022 è un’angosciante sconfitta di umanità. Ed è il terribile bagno di realtà in cui dopo decenni di ubriacatura sulle magnifiche sorti e progressive – perché di guerre nel mondo siamo pieni, ma non toccandoci da vicino, non mettendo in pericolo la nostra economia e non provocandoci timori “atomici” non abbiamo voluto accorgercene – siamo immersi.

Come tutto ciò si possa conciliare con il messaggio evangelico, che l’Europa, ad Oriente e ad Occidente, ha, almeno culturalmente, assimilato è una ferita profonda. Mi verrebbe da dire: “Perdonaci, Signore. Abbiamo due millenni di Nuovo, ma dobbiamo ancora considerare compiuto il Vecchio Testamento”.

 

martedì 22 marzo 2022

Zelenky e l'eco di Quasimodo

 

Immagine dal Web

“Come possiamo seminare sotto l’artiglieria russa, come possiamo coltivare quando il nostro nemico distrugge i nostri campi…”

Ad un orecchio italiano le parole rivolte oggi da Zelensky al nostro Parlamento rimandano (possono rimandare) a quel E come potevamo noi cantare/con il piede straniero sopra il cuore… con cui Quasimodo scolpì il feroce dolore del nostro paese sotto l’occupazione nazista.

Ma se l’atrocità della violenza nemica contro madri e bambini può bloccare le parole dei poeti, la vita nella sua interezza viene messa in discussione dalla mancanza di pane, di cibo.

Torneranno i prati si intitola un film di Ermanno Olmi dedicato alla Prima Guerra Mondiale. Non sembra immediato, ma c’è da sperare che la bandiera ucraina possa rispecchiare presto immense distese di spighe dorate sotto un cielo blu, senza missili, bombe, colpi di artiglieria a turbare le messi e le persone che seminano, lavorano, raccolgono.

Alle parole di Zelensky – (dicono che si sia trattato di un discorso emozionale, a bassa carica politica: a me, invece, è sembrato un discorso a forte contenuto politico di una persona che sta vivendo, insieme al suo popolo, al limite della sopravvivenza) – ha risposto un Mario Draghi, chiarissimo come sempre, duro quanto necessario ed empaticamente emozionato. Mi sono sentita orgogliosa del fatto che sia Lui, e non altri, il nostro Presidente del Consiglio.