Saranno i problemi prodotti dalla
crisi economica in cui ci inevitabilmente ci inoltreremo (e già non è che
stessimo tanto bene) – insieme all’inedita, generalizzata, esperienza di una
quotidianità compressa tra le pareti domestiche sotto scacco di un possibile, devastante,
contagio – a decidere, nelle prossime settimane, il nostro futuro modo di
vivere.
In questi primi quindici giorni di
isolamento (per il Nord un po’ di più), abbiamo subito il colpo di una
situazione inattesa, che ci ha colto ampiamente impreparati. Nei prossimi, chissà
quanti giorni di ulteriore chiusura, diventeremo le persone (uguali, migliori o
peggiori) che saremo quando torneremo ad uscire fuori dalle nostre case.
Che sarà un giorno tipo quello
mitizzato da Carducci nel suo primo discorso sullo svolgimento della
letteratura nazionale: «V’immaginate il levar del sole nel primo
giorno dell’anno Mille? Questo fatto di tutte le mattine ricordate che fu quasi
un miracolo, fu promessa di vita nuova, per le generazioni uscenti dal secolo
decimo? E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte
in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accasciate e singhiozzanti
nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi
mormoni per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e
di vita, si levò trionfale la mattina dell’anno Mille.»
Avranno un peso, e quale e quanto, le
abitudini che si stanno assumendo o consolidando in questi giorni? Ci saranno
fior di esperti che stanno immagazzinando e analizzando dati: dai cibi più
consumati al numero e tipologia di libri e film richiesti, all’aumento dello
share di programmi di tipo religioso rispetto alla frequenza media, delle messe
domenicali.
C’è chi starà accuratamente studiando
i nuovi prodotti da immettere sul mercato nella speranza di innestare, dopo la
grande crisi, un nuovo miracolo economico. Chi penserà ai modi di
riorganizzazione delle democrazie. Chi penserà alla ristrutturazione del
diritto internazionale.
E chi, nella propria casa, più o meno confortevole, si sforza di arrivare più o meno lucido e sereno fino a sera. Sapendo
che non è detto che, se si è alzato stamattina, si alzerà anche domani. Il che
vale sempre, ma fino a qualche giorno fa la nostra possibile morte in qualsiasi
momento era un dato messo tra parentesi e ci si salutava con sicurezza: A
domani (quand’ero bambina, si aggiungeva “Se Dio vuole”, poi la formula è
scomparsa). Non so quanto la collettiva esperienza della precarietà della vita (nuova
per le generazioni successive alla seconda guerra mondiale) segnerà il dopo
2020. Ma mi sembra abbastanza chiaro che il domani che verrà lo stiamo
costruendo nei pensieri e nei sentimenti dell’oggi.
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