sabato 30 aprile 2022

La Calabria e la lettura: come far incontrare due parallele

 

Immagine dal Web

 

Uno. Secondo i dati pubblicati in occasione dell’ultima giornata del libro (23 aprile 2022) – a leggere almeno un volume nell’ultimo anno è stato il 40, 4% degli italiani, contro il 90% degli svedesi e l’82% dei danesi. Disaggregando il dato, si può osservare che nel Nordovest legge il 48, 5%; nel resto del Nord il 48, 2%; al Centro il 44, 3% e al Sud il 29, 2%. Dato che, in Calabria, l’ultima in classifica, si abbassa al 23, 9%. Un segnale drammatico, che sintetizza gravi problematiche sociali, economiche e culturali su cui – mi sarò distratta – ma non mi sembra che si sia acceso un gran dibattito. D’altra parte, non è una novità: la non lettura fa parte dei tanti “meno” che ci accompagnano da tempo, strozzando presente e futuro della Calabria.

Due. La scorsa estate, che pure abbiamo passato con parecchi vincoli contro l’epidemia, non c’è stato quasi paese e paesino calabro che non abbia avuto la sua rassegna libri: più o meno breve, più o meno articolata, più o meno ben condotta, con autori di maggiore o minore spessore, ma sempre parecchio pubblicizzata e, quasi sempre, considerata un successo dai suoi promotori. Moltissime delle foto apparse sui social inquadravano, però, solo i relatori, non il pubblico; che, quando appariva, esclusi pochissimi casi, non raggiungeva la decina di persone.

Tre. Per qualche anno ho organizzato una rassegna libraria a Pellaro, insieme a Giuseppe Laganà e grazie alla disponibilità dei presidi della locale scuola di base, prima il dirigente Giovanni Marcianò e poi la dirigente Eva Nicolò, manifestazione sospesa complice, ma non solo, la pandemia. Ci sono state serate gradevoli; serate interessanti; serate belle:  di tutte resto grata a tutti coloro che vi hanno preso parte. Talvolta, e specificamente nell’incontro sul pane nella narrativa (dicembre 2019), un raccordo con la scuola che ha permesso un coinvolgimento degli alunni molto apprezzabile. Ma, nel tempo, mi è sembrato che la manifestazione, piuttosto che crescere, tendesse ad avvitarsi su se stessa. Segni inequivocabili: la scarsa ricaduta di questi incontri sul territorio e la struttura del pubblico, costituito in larga parte da parenti, amici, conoscenti: persone in qualche modo “portate lì” (anche da affetto e stima) ma non davvero interessate e, peraltro, via via diminuite di numero e, anche, nella partecipazione al dibattito.

Quattro. Se è ovvio che, soprattutto in un territorio dove mancano spazi della cultura e del dibattito, trovare comunque occasioni per pensare e ripensarsi è assolutamente necessario ed è, immagino, ampiamente condiviso che la scuola sia una componente essenziale di un programma culturale che integri le forze migliori del territorio, come agire in maniera efficace per promuovere l’attenzione ai libri, il gusto della lettura, la propensione a dibattere, a partire da un libro, di tematiche culturali, religiose, sociali, economiche ecc. ecc.? Se centinaia di rassegne librarie non smuovono lo stagno della lettura (ma si potrebbe scegliere qualche immagine peggiore) in Calabria, qualche domanda bisognerebbe porsela. Non si tratta, infatti, solo di “fare”, ma di “fare bene”.

 

Contro i talk show

 


Due mesi e passa dominati da una guerra: vicinissima a noi, trasmessa in diretta dalle tv, con un paese aggressore e un paese aggredito facili da identificare. Una guerra che rimette in discussione molte illusioni pacifiste degli ultimi decenni e impone alle grandi tradizioni culturali del paese – quella cattolica, quella comunista, quella liberaldemocratica che diedero vita alla Costituzione – di ripensarsi seriamente di fronte alla storia. A quella del futuro. Schierandosi con chiarezza e determinazione.

Mentre –  intorno alla guerra e alle connesse tragedie delle città distrutte, degli orrori che oltrepassano l’inumano, delle vite devastate – crescono, nel mondo, problemi economici e sociali enormi, tanta tv inquina e imbarbarisce l’informazione, con giornalisti per i quali il titolo di pennivendoli già sarebbe un regalo immeritato e facendo assurgere a maestri del pensiero, leader dell’opinione pubblica e prossimi membri del Parlamento personaggi che fanno molto temere sul valore di alcune nostre università. E tanti politici – meglio qualificabili come politicanti – si danno a roboanti dichiarazioni che media e social media ripropongono mentre andrebbero annegate fin da subito in quattro risate di compatimento per l’alto tasso di idiozia raggiunta.

In un paese in cui a leggere almeno un libro l’anno è meno della metà della popolazione (il 41%  secondo le ultime rilevazioni, che scende al 23% in Calabria; e stiamo parlando di solo di quantità, non di qualità), quanto male – disinformazione, qualunquismo, surreali mancanze di logica ecc.ecc – stanno producendo i pessimi talk della nostra tv? Quanti altri mostri stanno generando (dopo quelli che hanno generato nel recente passato)? Quanto peseranno –pessimamente – nelle elezioni del 2023?

sabato 23 aprile 2022

Se Reggio fosse stata una città normale...

 


 

Se Reggio fosse stata una città normale, il weekend che inizia con la festa del santo patrono della città avrebbe dovuto essere un pullulare di iniziative tali da cominciare a portare in città migliaia di persone desiderose di anticipare una visita al Marc per il cinquantesimo del ritrovamento dei Bronzi e di approfittare dell’occasione per una puntata anche a Gambarie, o a Scilla o a Locri, a Bova, a Gerace, o altre belle località a scelta.

 

Se Reggio fosse stata… : in greco, se non ricordo male, questa sarebbe  l’ipotesi di un periodo ipotetico del quarto tipo, o dell’irrealtà. Reggio, infatti, non è una città normale.

 

A certificarlo in maniera definitiva – un certificato di morte? – è il fatto che, se così non fosse, già almeno da un anno, la città tutta – in verità, la regione tutta – avrebbe potuto e, quindi, dovuto – intorno a quella straordinaria ricchezza del passato che, cinquanta anni fa, lo Jonio ci ha restituito, regalo inatteso e, purtroppo, immeritato – ricostruirsi: di un’occasione così, una città normale avrebbe fatto il suo speciale PNRR.

 

In una città che gode del sole almeno 335 giorni l’anno, si è come depositata una caligine, insieme opprimente e deprimente, che sembra coprire anche le energie di tanti che ci provano ancora a farle godere tutto il sole, il cielo, il mare che ha.

 

Se ne può ancora uscire?

 

Come?