giovedì 23 settembre 2021

Le donne nella storia della Calabria a cura di Frisone, Matta e Sprovieri

 


Nel marzo 1946, in seguito alle prime elezioni cui partecipano anche le donne, vengono elette in Italia undici sindache. Tre sono calabresi: Caterina Tufarelli Palumbo, eletta a San Sosti; Ines Nervi Carrattelli a San Pietro in Amantea e Lydia Toraldo Serra a Tropea.

Un caso? No. La presenza delle donne nella storia della Calabria è ben più forte e significativa di quanto si possa pensare. Già nella scuola di Pitagora, a Crotone, nel VI secolo a. C., erano presenti alcune donne (la stessa moglie di Pitagora, Teano, guidò la Scuola Italica dopo la morte del matematico-filosofo), ma la partecipazione alla vita pubblica, nei suoi aspetti politici, culturali, sociali, religiosi, diventa particolarmente sensibile alla fine dell’Ottocento per esplodere, poi, nel Novecento. Si tratta, soprattutto, di donne di classe borghese o anche di ascendenza nobili, che hanno potuto studiare in epoche in cui la scuola restava privilegio di pochi (uomini) e di (quasi nessuna) donna, ma anche di giovani provenienti da condizioni socio-economiche molto meno favorevoli. Una presenza femminile mobile e variegata, spesso legata allo sviluppo nella regione, in quei decenni, di movimenti ecclesiali nella cui frequentazione le donne hanno trovato alimento per un’attività non solo religiosa, ma sociale e, molto spesso, educativa e politica.

Le donne nella storia della Calabria, curato, per AiParC (Associazione italiana parchi culturali) Cosenza da Tania Frisone, Nella Matta e Marilù Sprovieri ed edito da Jonia, raccoglie le biografie di una cinquantina di donne, la cui azione ha influenzato la vita della regione.

Donne democristiane, socialiste, comuniste, fasciste e liberali. Insegnanti. Mediche. Architette. Donne che hanno dedicato la loro esistenza all’aiuto ai più bisognosi, rinunciando ad una propria famiglia e donne che hanno affiancato all’impegno pubblico quello di mogli e di madri. Donne di fede e donne senza riferimenti religiosi. Qualcuna nota, la maggior parte sconosciuta ai più. Tutte degne d’interesse. A cominciare da Giuseppina Le Maire che per la Società fiorentina per l’istruzione popolare nel Mezzogiorno, svolge un’inchiesta, sulla situazione del dopo terremoto del 1908 che si conclude con una relazione firmata anche da Sibilla Aleramo, Giovanni Cena e Gaetano Salvemini: “La caduta di tutte queste aule in fondo non è un male. La più parte fra esse erano ‘luride tane da topi’, ‘centri e fomiti di malattie infettive’ moltissime senza impiantito, qualcuna col tetto scoperto, anguste, senza luce, lerce, ignobili. In esse i bambini erano torturati come in ‘case di pena’, stipati in quattro o cinque fra banchi capaci tutt’al più di due o tre inquilini, quando non dovevano sedere per terra o andare in prestito per una sedia presso qualche pietosa vicina. Delle aule tutt’ora esistenti e da noi visitate, una sola era buona, sebbene lesa dal disastro. Di tutte le altre, rimpiangemmo che non fossero anch’esse scomparse”.

Un libro prezioso per il recupero di una memoria troppo trascurata – molti nomi sono delle vere e proprie scoperte – e per il coinvolgimento delle scuole: alcune biografie sono scritte da specialisti, ma molte altre sono frutto di ricerche svolte nei licei di Cosenza, Rossano, Rende, con grande impegno di professori e allievi. Un lavoro, questo della scuola, di particolare interesse. Anche con consimili ricerche, i giovani calabresi, e le ragazze in particolare, possono rafforzare un’identità positiva: se davanti a loro c’è il mondo in tutta la sua estensione, alle loro spalle c’è un passato pieno di dignità e di sforzi operosi: non sono figli/e di un Dio minore.

Pubblicato su Zoomsud: 

http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/108190-la-recensione-le-donne-nella-storia-della-calabria-a-cura-di-frisone-matta-sprovieri-jonia-editrice

 

lunedì 20 settembre 2021

Marcello Fois rilegge Cuore, il libro che ha inventato gli italiani brava gente

 


Ieri sera, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare un pezzo con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato nell’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano, e disse alla classe: — Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno e di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. — Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: — Ernesto Derossi! — quello che ha sempre il primo premio. Derossi s’alzò. — Vieni qua, — disse il maestro. Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. — Come primo della scuola, — gli disse il maestro, — dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria. — Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: — Benvenuto! — e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani. — Silenzio! — gridò il maestro, — non si batton le mani in iscuola! — Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: — Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila Italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore. — Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa, e un altro ragazzo, dall’ultimo banco, gli mandò un francobollo di Svezia. Da Cuore di De Amicis

Quand’ero piccola, ho mal digerito Pinocchio e molto amato Cuore, su cui devo aver versato non poche lacrime di commozione.

Da grande, Pinocchio non ho mai avuto la voglia di riprenderlo in mano (anche se, ad un certo punto, le note del cardinale Biffi me ne avevano dato una vaga idea). Cuore, invece, l’ho riletto. Trovandolo molto retorico.

Non so se sui ragazzini di oggi, ben più smaliziati di quelli della mia generazione, quell’educazione, retorica, ad essere dei buoni cittadini, possa ottenere lo stesso effetto che me l’ha fatto amare da piccola e che tuttora mi fa spuntare involontarie lacrime rileggendo brani come quello del ragazzo calabrese (peraltro attualissimo nell'Italia sempre più multiculturale).

So che ho divorato (e rileggerò) L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore di Marcello Fois, edito da Einaudi, un libro che merita un dibattito. Che va ben al di là di quello, pur molto interessante, delle opere letterarie che ci hanno strutturato come italiani brava gente.