giovedì 25 gennaio 2024

Cuore nero di Silvia Avallone, libro bellissimo

 

Dopo quasi quindici anni di “collegio”, Emilia, una giovane donna, dall’abbigliamento approssimativo, non bella se non negli occhi “bellissimi. Ma assolutamente privi di luce, come due stelle morte”, va ad abitare in una vecchia casa, senza elettricità e, quindi, senza neppure la tv, in una frazione isolata e disabitata – due residenti in tutto – di Sassaia. La sua solitudine incontra quella di Bruno – il suo dirimpettaio, maestro elementare di ben tredici alunni nel paese vicino – in un rapporto che li costringe ad affrontare l’ostacolo più arduo: dirsi, dare parole agli eventi che hanno drammaticamente segnato le loro vite, denudarsi da ogni corazza, accettare la verità su se stessi.

Cuore nero, quinto romanzo di Silvia Avallone, edito da Rizzoli, è un percorso dentro il male. Non tanto quello prodotto dalla società, (povertà, mancanza di cure) o da cause spiegabili – “Non è che se sommi la morte di tua madre, la dislessia, il bullismo, ottieni una spiegazione. Lo so. Non siamo una catena di cause ed effetti. Non funzioniamo come la gravità, la pioggia o un’addizione. Ma quello che abita misteriosamente il cuore, conducendolo ad azioni distruttive e autodistruttive: sabotaggio ed autosabotaggio alla vita. Ed è, nello stesso tempo, un percorso dentro l’amore, unica possibile risposta al male stesso: “Se ami una persona, non puoi prescindere da quello che è, ed è stata. Non puoi suddividerla in parti, scegliere solo quelle che ti fanno comodo. Devi accettarla intera.”

Perché il male alla fine, si identica, per chi non l'ha commesso, col “non saper perdonare” l’altro/a che ha sbagliato – il che implica empatia e generosità: non semplici, ma tuttavia non impossibili – ma è ancora più difficile da superare per l’autore stesso del male che deve scalare la montagna più alta e sprofondare nel punto più basso dell’oceano per trovare il coraggio di ripartire dal buono che, comunque, è rimasto in lui/lei. Ci sono buchi che non puoi riempire. Che resteranno lì per sempre, neri e profondi. Però, se vorrai, potrai costruirci una vita intorno. Come ricresce l’erba sul bordo dei crateri. Come si possono ornare i pozzi con vasi di fiori. La tua vita sarà sempre un anello intorno a questa voragine. Te la senti di accettarlo?”

Una lingua robusta e mobile – né letterariamente artificiosa né banalmente colloquiale – un ritmo quasi da giallo di qualità, una forte capacità di descrivere la complessità di un cuore devastato e di entrare nei complessi meccanismi della mente innervano una trama coinvolgente, punteggiata di domande e riflessioni per un libro molto bello, che fa entrare la Avallone nella sua maturità artistica.

Se la mia valutazione da lettrice appassionata premia il libro – sulla cui vicenda non voglio soffermarmi per lasciare al lettore il piacere di scoprirla – con il massimo di stelline, ancora più alto è il mio apprezzamento come ex insegnante, e per lungo tempo, in un carcere minorile, dove molto mi sono occupata di scrittura.

Nel 1999, quando la coprotagonista di Cuore nero lascia Nisida per arrivare al minorile di Bologna, a Nisida c’era davvero la sezione femminile – con ragazze che non dimenticherò; (la Biblioteca è stata resa operativa durante l'anno scolastico 2001-2002) – ma a Bologna, al Pratello, c’erano solo ragazzi. La Avallone inventa, cioè, un minorile femminile a Bologna, e lo fa con grande sensibilità e credibilità, dando tra l’altro spazio all’importanza che in quel contesto ha e/o può acquisire la scuola. “Frau Direktorin era un’inguaribile romantica: ci credeva, alla giustizia riparativa, al riscatto attraverso la cultura. (…) Leggenda vuole che quella mattina d’aprile Vargas si fosse alzata dalla sedia sfidandola: ‘Se ci riesce, a portarmi il liceo in gattabuia…’ E che già dal giorno seguente Frau Direktorin si fosse presentata al provveditorato con una testa d’ariete, avesse rotto i coglioni al ministero, si fosse attaccata al telefono per settimane, cocciuta, urlante, imprecante, inarrestabile. Finché non un liceo (non esageriamo), ma l’istituto professionale alberghiero Artusi, sì: aveva aperto una succursale al penale femminile, cambiando per sempre i destini non di tutte, ma di alcune. E come le redimiamo queste, sennò?Senza la Storia, senza Pascoli, Manzoni, Dante? ‘Fatte non foste a viver come brute’! Avanti, a studiare!

 

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