Sara guidava, nervosa, su una strada di periferia – doveva raggiungere una chiesa per un cinquantesimo di nozze che avrebbe volentieri evitato, ed era in netto ritardo. Il cielo, plumbeo, corrispondeva al suo stato d’animo. A peggiorarlo erano arrivate tre telefonate di seguito di Nina. Non aveva risposto. Alla quarta si fermò e, non l’aveva mai fatto con nessuno, bloccò il numero. Si conoscevano da ragazze, o, meglio, Sara era una ragazzina e Nina già lavorava – avevano una diecina d’anni di differenza – e Nina cercava compagnia dovunque potesse trovarla. Aveva un modo gradevolmente teatrale di raccontare aneddoti, con un pizzico di ironia e anche di autoironia. Ma, col tempo, questo aspetto del suo carattere era stato schiacciato dalla tendenza a compiangersi e a lamentarsi di tutto e di tutti: non sarebbe stato un cliché considerarla una zitella inacidita: era proprio la mancanza di un compagno, preferibilmente di un marito, ad averla resa difficile da sopportare oltre una mezzora. Si faceva vedere di tanto in tanto, riversava tutto il suo malessere su Sara e poi scompariva per mesi. Negli ultimi tempi, però, l’aveva soffocata con lunghe telefonate con cui pretendeva – lo diceva lei stessa: pretendo – che Sara non solo la ascoltasse, ma risolvesse tutti i suoi problemi psicologici. Sara le aveva detto, prima in modo gentile e, poi, alzando sempre più la voce, che lei non aveva nessuna competenza a risolvere i grovigli psicologici di nessuno: si rivolgesse ad uno psicologo, ad un prete, a chi volesse, ma non a lei. Ma la voce di Sara, sebbene in crescendo, veniva affossata da quella, urlante, di Nina: io pretendo. Bloccato il numero, Sara aveva provato un po’ di senso di colpa per il modo in cui aveva troncato una relazione diventata troppo disturbante, ma aveva respirato più liberamente ed era arrivata in chiesa, senza fingere, con il volto che si conveniva a chi stava partecipando ad un festeggiamento.
Quella vicenda le tornò in mente qualche anno dopo quando, a chiudersi, fu la relazione con Annabella. S’erano conosciute da pochi anni, s’erano reciprocamente fatte molte cortesie, sembrava una di quelle amicizie tardive che possono arrivare fino alla morte, ma Annabella s’era via via allontanata. Diceva che no, non si faceva vedere solo perché sommersa dal lavoro. Ma non trovava tempo neppure per una telefonata e rispondeva laconicamente ai messaggi, finché neppure ai messaggi rispose. Sara provò e riprovò a chiamarla, poi smise. Ne soffrì pesantemente per qualche giorno, non riusciva a darsi risposta del perché di un tal cambiamento, si sentiva in qualche modo tradita nei suoi sentimenti, forse anche offesa senza ragione.
Poi le venne in mente di Nina. Non aveva dubbi che lei, Sara, non aveva mai neppure lontanamente pesato su Annabella come Nina aveva pesato su di lei, ma il solo accostarsi nella sua mente di quelle, pur diverse, fini di un’amicizia le tolse ogni amarezza, ogni recriminazione. E respirò a pieni polmoni.
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