Sono curiosa di ascoltare, tra qualche ora, il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, segnale importante della “transizione” che dovrà compiere tra la tuonante leader di partito di ieri e la condizione attuale che la vede capo del governo di una “nazione”.
A me che parli di “nazione” non disturba; d’altra parte, secondo la formula di rito, ha giurato di svolgere le sue funzioni “nell’interesse esclusivo della Nazione” e – anche se i nomi dei Ministeri li avrei lasciati come sono: cambiare costa un bel po’ di carta intestata che va al macero – non mi disturba neppure il “sovranismo alimentare” (volesse il cielo che arrivassero adeguati aiuti anche alla piccola agricoltura; magari, si riuscirebbe a coltivare anche tanti “giardini” calabresi semi abbandonati) e neppure il “merito”. Se, a scuola, si riuscisse a “valutare” gli insegnanti non sarebbe per niente male e, per quanto riguarda, gli studenti “merito” non è il contrario di “inclusività”, di “barriere alzate” per perpetuare difficoltà di ogni genere che rendono più difficile l’apprendimento, ma la valorizzazione dell'impegno individuale, per cui il ragazzo che, per condizioni socio-ambientali, parte da un “oggettivo” 2 e arriva a 5 è più meritevole di chi parte da 8 e lì si ferma.
Non mi formalizzo neppure su “il presidente”, però “la presidente” è decisamente meglio, proprio grammaticalmente meglio e nulla toglie al valore del ruolo: per il semplice fatto che “presidente” come “cantante”, “badante” e simili participi presenti, è un nome che resta invariato, ma cambia l’articolo: il cantante/la cantante; il badante/la badante; il presidente/la presidente.
Nomina sunt consequentia rerum. Le parole sono importanti, vengono modificate dalla realtà e sono in grado in modificare la realtà. Ma, in questi giorni, il dibattito sulle parole mi è sembrato, spesso, un chiacchiericcio inutile. Il fatto che cambierà tante cose nel paese è già avvenuto: non solo una “donna”, e, per di più, di “origini popolari”, ma una “madre” (e madre di figlia – femmina – piccola) a palazzo Chigi. C’è un varco da cui passeranno le parole, ma non solo loro: quanto più Giorgia Meloni riuscirà ad essere “discontinua” rispetto a se stessa e “continua” rispetto a Mario Draghi (ancora grazie, Presidente) tanto meglio sarà per il Paese. O, se preferisce, la Nazione.
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