Il metro del dolore di Marco Onnembo
“Il motivo per cui decisi di diventare prete, più
della fede, era la redenzione che un uomo di Chiesa poteva offrire ai fedeli
con la confessione. Una missione, per dire, orientata a salvare le anime degli
altri, dando per scontato che la mia fosse già persa.”
Don Carmine Pastore – il prete “strano”, secondo la
sua autodefinizione, protagonista di Il
metro del dolore di Marco Onnembo, edito da Mondadori – è, soprattutto, un uomo che ascolta dubbi, angosce,
sensi di colpa, peccati più o meno gravi e veri e propri reati. Si va da lui
per poter confidare di aver volontariamente messo lo zucchero al posto del sale
per rovinare un pranzo o di aver recitato solo cinque dei dieci rosari
promessi, ma anche per dire – magari per rivendicare senza ombra di pentimento
– di aver ucciso. E lui stesso, colmo dei fardelli degli altri e dei propri,
cerca spesso conforto in un confratello che lo assolva.
Ambientato tra l’Italia meridionale e l’America,
dove Carmine, ragazzino, si trasferisce con la famiglia, nel contesto del dopo
Concilio, che, pure, non è citato (Carmine diventa prete nel 1969) e delle
problematiche che si accumulano negli anni successivi fino all’emergere di casi
di pedofilia – il libro ruota sul “più fragile dei sacramenti”, “un’esperienza
a cavallo tra la fede in Dio e la fiducia in un uomo.”
Pur con alcune importanti eccezioni, non sono tantissimi
i preti nella narrativa italiana. È merito di Onnembo averne delineato uno, e "
“Il motivo per cui decisi di diventare prete, più
della fede, era la redenzione che un uomo di Chiesa poteva offrire ai fedeli
con la confessione. Una missione, per dire, orientata a salvare le anime degli
altri, dando per scontato che la mia fosse già persa.”
Don Carmine Pastore – il prete “strano”, secondo la
sua autodefinizione, protagonista di Il
metro del dolore di Marco Onnembo, edito da Mondadori – è, soprattutto, un uomo che ascolta dubbi, angosce,
sensi di colpa, peccati più o meno gravi e veri e propri reati. Si va da lui
per poter confidare di aver volontariamente messo lo zucchero al posto del sale
per rovinare un pranzo o di aver recitato solo cinque dei dieci rosari
promessi, ma anche per dire – magari per rivendicare senza ombra di pentimento
– di aver ucciso. E lui stesso, colmo dei fardelli degli altri e dei propri,
cerca spesso conforto in un confratello che lo assolva.
Ambientato tra l’Italia meridionale e l’America,
dove Carmine, ragazzino, si trasferisce con la famiglia, nel contesto del dopo
Concilio, che, pure, non è citato (Carmine diventa prete nel 1969) e delle
problematiche che si accumulano negli anni successivi fino all’emergere di casi
di pedofilia – il libro ruota sul “più fragile dei sacramenti”, “un’esperienza
a cavallo tra la fede in Dio e la fiducia in un uomo.”
Pur con alcune importanti eccezioni, non sono tantissimi
i preti nella narrativa italiana. È merito di Onnembo averne delineato uno, strano, in
una fase di particolare perdita di peso sociale della chiesa cattolica. E di
averlo fatto fissando l’attenzione sullo snodo del “peccato/redenzione”, tematica
oggi molto periferica. Un
libro poco consolatorio, inquieto e positivamente inquietante, che apre a molte domande.
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