In un fondo del 6 novembre sul Corriere della Sera,
Galli della Loggia ribadisce alcuni concetti sulla scuola, che ha già espresso
in altre circostanze. In sintesi: la scuola italiana ha perso da decenni, in
larghissima misura, la sua capacità di “dare regole” e, in larga parte, anche
quella di insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Il fallimento della scuola, frutto malefico di un lassismo generale, è
tanto più grave in quanto la scuola stessa, in un contesto segnato da crisi
della famiglia, debole capacità attrattiva della Chiesa e fine del servizio
militare obbligatoria, è, di fatto, l’unica agenzia educativa del paese. Il suo
fallimento ha dunque una ricaduta
immediata sul paese stesso in cui, sotto gli occhi di tutti, l’illegalità si
estende e l’ignoranza cresce.
La scuola italiana – che in alcuni territori è l’unico
presidio di legalità, l’unica avamposto dello Stato – è oberata da compiti che
schiaccerebbero legioni di giganti. Deve essere accogliente, farsi carico di tutte le problematiche (psicologiche,
familiari) della crescita nonché di tutti i problemi sociali che sulla crescita
incidono spesso pesantemente. Deve far acquisire competenze di cittadinanza in contesti in cui gli esempi che
vengono dagli uomini delle istituzioni non sono meno deprimenti di quelli che vengono
da chi è ai margini o fuori dalle leggi. Deve far acquisire competenze cognitive, la cui lista
appare, a vederla da certi contesti social-culturali, come la declinazione del
termine utopia. Il tutto mentre riempie carte su carte (la burocrazia
didattica italiana, oltre ogni altra considerazione, è colpevole della
distruzione di milioni di alberi), s’affanna a inseguire progetti di ogni genere,
corre, corre senza centrare quasi mai il punto essenziale: di tutto l’enorme
patrimonio culturale accumulato nei secoli, oggi, nell’era della globalizzazione e dell’informazione
digitale, che cosa è davvero essenziale trasmettere e come?
Insegnare è diventato un mestiere difficilissimo: non
solo (e, forse, non tanto) bisogna essere esperte nella propria
disciplina, ma avere altissime competenze psicologiche, una infinita capacità
relazionale (ragazzi, colleghi, famiglie), districarsi in una serie di
normative che fanno concorrenza alle grida di manzoniana memoria, avere una
buona dose di coraggio per non farsi sopraffare da famiglie e ragazzi in esponenziale
crescita di maleducazione e peggio, avere una notevole resistenza allo stress (le continue, quotidiane sconfitte sul piano educativo, il carico extradidattico che rischia di soffocare le energie per la didattica ecc. ecc.).
Ho parlato di esperte perché la scuola di base
italiana è sostanzialmente una scuola materna, nel senso che è una scuola ad
amplissima conduzione femminile. Mestiere socialmente poco apprezzato ed
economicamente poco remunerato, il maestro e il professore delle medie è
praticamente scomparso, o quasi, dalle nostre aule. E che, negli anni formativi della scuola, non ci siano padri
non è una buona cosa.
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