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Aprile è il mese più
crudele.
Bello, questo verso di Eliot, ma non lo sottoscriverei. Per me, aprile è il
mese più bello: per certi cieli limpidi, l’allegria delle ginestre, certi soli
di luce trionfante, per i primi papaveri al vento. Per quel senso di rinascita che sembra circolare
nelle vene, dilatare le pupille, allargare il respiro. Ma soprattutto per quel
25 segnato in rosso sul calendario: il giorno della festa della Resistenza e
della Liberazione da celebrare come momento privilegiato della ri-fondazione,
ovvero della definitiva fondazione dell’Italia.
Amo la storia, la ricostruzione, seria e
serena, della complessità degli eventi. La amo, certo, perché non c’è possibile
comprensione dell’oggi senza la conoscenza di ieri, perché le radici ti
raccontano l’anima profonda degli alberi. Ma anche perché la storia rende
facile schierarsi dalla parte giusta.
Se io fossi vissuta all’epoca di Gesù,
difficilmente sarei stata tra le donne al suo seguito. Ma secoli e secoli di
cristianesimo mi portano a condividere quel suo passaggio terreno come fosse
oggi. In modo simile, chissà se avrei saputo, e come, dare una mano ai
partigiani nei mesi che portarono alla fine della seconda guerra mondiale. Ma,
ora, è semplice, sentire, fin nel profondo dell’essere come fosse la propria
stessa reazione, la sobria grandezza di chi ha sacrificato consapevolmente la
propria vita perché il Paese avesse un futuro.
A settanta anni da quel 25 aprile, l’Italia
sembra avvertire più il peso dei suoi non pochi né lievi problemi che la
soddisfazione del cammino fatto. Eppure in quel vento di garofani rossi, in
quell’essere una sola cosa col sogno di bene che la terra faceva fiorire dalle
sue viscere – a starne a sentire il soffio lieve – c’è lo slancio per trovare,
oggi, risposte (per esempio, sull’immigrazione) che, domani e anche dopodomani,
possano farci trovare ancora dalla parte di chi ha rinnovato il mondo.
Il primo libro che ho comprato, ovvero il
primo che non mi sia stato regalato da piccola, è stato Resistenza e
resa di
Giorgio Bocca, edito da Laterza. Poi ho letto chili e chili di libri sulla
Resistenza. Mi danno un’emozione particolare i versi in cui Pasolini* parla
della scelta partigiana del fratello (poi ucciso nelle foibe):
Era un mattino in cui
sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce
di mare:
ogni filo d'erba come
cresciuto a stento
era un filo di quello
splendore opaco e immenso.
Venivamo in silenzio per
il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri
e ancora caldi
del nostro ultimo sonno in
comune nel nudo
granaio tra i campi ch'era
il nostro rifugio.
In fondo Casarsa
biancheggiva esanime
nel terrore dell'ultimo
proclama di Graziani;
e, colpita dal solo contro
l'ombra dei monti,
la stazione era vuota:
oltre i radi tronchi
dei gelsi e gli sterpi,
solo sopra l'erba
del binario, attendeva il
treno per Spilimbergo...
L'ho visto allontanarsi
con la sua valigetta,
dove dentro un libro di
Montale era stretta
tra pochi panni, la sua
rivoltella,
nel bianco colore
dell'aria e della terra.
Le spalle un po' strette
dentro la giacchetta
ch'era stata mia, la nuca
giovinetta...
*PPP. Ad un ragazzo, La
religione del mio tempo, Garzanti
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