M. raccoglie uva zibibbo nel silenzio denso del primo mattino. Sono solo pochi tralci, ma carichi, ad angolo di lenza. Assaggia qualche acino, taglia i grappoli dalla vite con una vecchio coltello dal manico arancione, li mette in un secchio di plastica – sarebbe certo più bello un paniere di vimini – e si sente colma. È sola e non le manca nulla. Una serenità simile, ma di molto inferiore, la provava solo quando, arrivata al lavoro, un pesante portone di ferro richiudeva dietro di lei le tensioni e le paure del giorno lasciandole l’aria entrare libera nei polmoni. Una brezza lieve e limpida l’accarezza, il silenzio, ritmato dal verso di qualche uccello, la lambisce di un bagliore inesprimibile. Le viene in mente la polemica di qualche anno prima su un convegno cui anche lei era stata invitata. Più di uno, sui social, l’aveva ridicoleggiato come “riunione degli intellettuali”. M. aveva risposto che “chiunque opera pensando e ripensando la propria esperienza – non solo il filosofo di professione o il grande letterato, ma la casalinga, il contadino, l’artigiano e tanto più un insegnante – è un intellettuale, per quanto piccolo. Non c’è vergogna né esaltazione nel riconoscerlo, solo assunzione di responsabilità.” Da allora, è passata molta acqua sotto i ponti e nessuno mostra di riconoscerle competenze di pensiero. Lei stessa non saprebbe o meno dirsi intellettuale (di base o del primo scalino) né cerca, per sé, alcuna altra definizione. Respira, piano, l’aria luminosa. Alza lo sguardo verso i fichi d’india tra le cui pale, in lontananza, s’intravvede il mare, e si sente nell’abbraccio di una pienezza sconosciuta. Avvolta da una possibilità di gioia senza limiti o di angoscia senza rimedio. Conosce la seconda – gli artigli che afferrano lo stomaco e risucchiano nel baratro – più della prima – lo stupore grato della vita amica. Ma, ora, M. ha nel cuore un’esultanza segreta a se stessa. Ha sempre riso del malocchio, eppure, adesso, s’adombra d’ogni possibile sguardo geloso di felicità – mentre, al di qua della retina, le scorrono rapide immagini in movimento di un punto luce che, da solo, definirebbe il futuro.
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