giovedì 8 settembre 2022

Agosto 1863, si apre, a Reggio, la prima conferenza magistrale

 


Il 9 luglio del 1863, il regio ispettore Paolo Delfino invia al sindaco di Reggio Calabria, il regio commissario Alessandro Magno, una lettera con la copia “di un manifesto a stampa per le conferenze magistrali che si apriranno in Reggio di Calabria, con preghiera di farlo affiggere all'albo pretorio di codesto comune e di darvi la maggior pubblicità possibile anche nelle frazioni da esso dipendenti.” Il regio ispettore si affida allo “zelo di V.S. perché voglia indurre codesti insegnanti a profittare della favorevole occasione per munirsi dei titoli regolari, essendoché l'attestato di altre conferenze non è titolo sufficiente, ma è necessario il diploma definitivo. Potrebbero pure valersi della propizia occasione quelle persone che desiderano d'intraprendere la onorifica carriera magistrale, ovvero bramano di acquistarsi un titolo, che oltre a procacciare ad essi onore, potrebbe pure giovare di valida raccomandazione agli uffizii cui aspirano.” Lo scrivente ricorda che “in aspettativa delle conferenze magistrali il Consiglio provinciale scolastico approvò finora provvisoriamente e pel solo anno in corso le nomine dei maestri: ma da ora innanzi chi non sarà munito di regolare diploma non avrà la debita approvazione e verrà dichiarato decaduto di diritto e di fatto. Ugual cosa si dica pei privati insegnanti.”

Lo stesso giorno, lo stesso ispettore si rivolge ai maestri: “Ill.mo signor maestro Nel prossimo venturo mese d’agosto, come rilevasi dall'unito manifesto, avranno luogo in Reggio di Calabria conferenze magistrali, al termine delle quali nel successivo ottobre si daranno esami di patente definitiva. Il sottoscritto invita perciò V.S. a frequentare le prossime conferenze nelle quali avrà campo e modo di prepararsi agli esami di ottobre, e le fa osservare che affin di godere dei benefizii e vantaggi dalla legge 7 gennaio 1861 e dal regolamento 12 gennaio stesso anno assicurati riguardo al minimu dello stipendio, alla stabilità e durata della nomina, è duopo essere fornito di regolare patente definitiva del grado inferiore o superiore secondo la classe e la scuola alla quale si attende. La posizione quindi di V.S. nella sua qualità di maestro elementare non sarà regolare e stabile sino a che non abbia conseguita la relativa patente d’idoneità voluta dalla legge. Vossignoria inoltre vorrà aver presente che nelle nomine degl’insegnanti elementari la legge favorisce quel che sono muniti di patenti definitive, i quali hanno perciò il diritto d'essere preferiti a tutti gli altri non patentati. Dopo la patente definitiva l'attestato di frequenza alle conferenze è il titolo maggiore per essere preferito nell'insegnamento in concorrenza di altri sforniti del medesimo e non aventi patente regolare. In conseguenza è interesse di V.S. di regolarizzare la sua posizione d'insegnante col munirsi di regolare patente presentandosi alle conferenze ed agli esami finali; sebbene per tale effetto abbia ad incontrare qualche dispendio o sacrifizio.”

Come è chiaro anche da queste lettere, nella prima fase dell’Unificazione, per far fronte all’obbligatorietà della frequenza scolastica per i primi due anni delle elementari (legge Casati) estesa a tutto il paese, in mancanza di maestri e maestre “diplomati”, vengono nominati insegnanti “provvisori”, per un anno – moltissimi preti e persone di “formazione parrocchiale”, sagrestani e donne indicate dai parroci – e, subito dopo, vengono istituite “conferenze magistrali”, ovvero corsi di studio brevi, dai due a dieci mesi, che si concludevano con una “patente” stabile di insegnamento.

Il Regio Decreto del 9 novembre 1861 n. 315 su Programmi e regolamento per le scuole normali e magistrali e per gli esami di patente de’ maestri e delle maestre delle scuole primarie all’art. 22 stabilisce: “Le materie obbligatorie per gli esami sì verbali come in iscritto degli aspiranti al grado di Maestro inferiore sono, 1. catechismo e storia sacra, 2. lingua italiana, 3. aritmetica e nozioni elementari sul sistema metrico decimale, 4. pedagogia, 5. calligrafia; e per gli esami degli aspiranti al grado di Maestro superiore sono obbligatorie le seguenti materie, 1. religione, 2. regole del comporre e cenni di storia letteraria, 3. aritmetica e contabilità, 4. nozioni elementari di geometria, 5. nozioni elementari di scienze fisiche, 6. storia nazionale e geografia, 7. pedagogia, 8. calligrafia. Per le aspiranti Maestre tanto dell’uno quanto dell’altro grado sarà pure obbligatoria la prova sui lavori donneschi”.

A Reggio, la prima “conferenza magistrale” si apre il 10 agosto 1863. Nella sua relazione al ministro dell’Istruzione, Michele Amari, del 25 ottobre 183, il prof Lorenzo Giacomini, che insegnava aritmetica, geometria e principi di scienze naturali nella scuola normale maschile di Ascoli, scrive che “il sottoscritto, incaricato con decreto ministeriale di V.S. Ill.ma del dì 18 luglio ultimo scorso (…) ad insegnante nelle conferenze magistrali maschili e femminili di questa città, vi giungeva il dì 8 agosto p.p. Il giorno 10 poi esse all'annunzio della banda cittadina aprivansi solennemente con bel discorso dell'ispettore d'innanzi al concorso di tutte le autorità civili e militari, del più colto popolo, e di ben 140 fra maestri ed aspiranti.” Le lezioni iniziano il giorno successivo, 11 agosto. “Una volta al giorno di mattino facevasi lezione per scansare i furori del caldo della sera. Dalle 7 alle 9 alle conferenze femminili, dalle 10 alle 1 2 alle maschili. L’ora intermedia fra le 9 e le 10 era avvicendata in ambo le conferenze dal catechismo e dalla calligrafia. Il dì 17 volgente terminavan gli esami pel diploma di grado inferiore, il dì 24 quelli di grado superiore.” Il prof Giacomini non esplicita quanti dei 140 erano donne e quanti uomini né scrive quanti avevano superato gli esami, ma si dice molto soddisfatto: “Il sottoscritto va lieto e pregiasi di manifestarle esser dette conferenze riuscite di pubblica soddisfazione, sì riguardo al profitto, che, relativamente al tempo, è stato ben molto, come all'ordine, alla quiete serbata. Non rivalità suscitate, non disturbi arrecati, non malcontenti provocati, ma generale armonia.” “Si può quindi pur francamente sostenere, – conclude il prof Giacomini – che la pubblica istruzione e il sentimento di sua importanza, a lode del governo, in queste province meridionali abbrutite sotto il passato reggime per organizzata ignoranza, progredisca gigantemente.”

C’è, forse, un eccesso di ottimistico ossequio al governo. L’“obbligo”, per esempio, non sarebbe stato realizzato compiutamente neppure con la legge Coppino (1877), che, a differenza della Casati, stabiliva sanzioni, ma con molte eccezioni, per la mancata frequenza scolastica e si potrebbe fare più di un’osservazione sui contenuti dell’apprendimento. Ma lo sforzo di far uscire il paese dalla condizione di analfabetismo fu notevole e non era per nulla scontato che, sebbene ai livelli di base, si facessero accedere anche le bambine.

È interessante notare che, nella terza classe protagonista del Cuore di De Amicislibro del 1866 che meglio di ogni altro esprime la “pedagogia civile” postunitaria – l’unico ragazzino non torinese arriva da Reggio Calabria e ha, evidentemente, già frequentato i primi due anni nella sua città d’origine:

Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno e di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. — Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: — Ernesto Derossi! — quello che ha sempre il primo premio. Derossi s’alzò. — Vieni qua, — disse il maestro. Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. — Come primo della scuola, — gli disse il maestro, — dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria. — Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: — Benvenuto! — e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani. — Silenzio! — gridò il maestro, — non si batton le mani in iscuola! — Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: — Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila Italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore. — Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa, e un altro ragazzo, dall’ultimo banco, gli mandò un francobollo di Svezia.”

 

Le lettere riportate sono tratte da:

 Archivio Centrale dello Stato Fonti per la Storia della Scuola

 L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana

A cura di Carmela Covato e Anna Maria Sorge

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