lunedì 9 dicembre 2019

Imparare a Natale



 
L'albero di Natale che illumina Pellaro (RC)
Antivigilia di Natale di trenta anni fa e più. Un ragazzo in uscita da Nisida e nessuno che lo viene a prendere. Lo accompagno. Quando arriviamo nei Quartieri, ho paura. Non del luogo, dello spazio. Non sono una guidatrice super, se dovessi dover fare qualche manovra impegnativa come me la caverò? Quando arriviamo sotto casa sua, vorrei allontanarmi prima di subito. Ma appare sull’uscio suo padre. Non si guardano. Il ragazzo sparisce dentro un portoncino, con la sua mappatella di panni in spalla. Il padre mi invita a prendere un caffè al bar lì accanto. È un uomo alto, imponente, il volto rubizzo e l’alito che non lascia dubbi. Chi me l’ha fatta fare ad arrivare fin qui? Comunque: Hic Rodhus hic salta. Sorrido. Entro con lui nel bar. Il signore, per pagare, toglie vistosamente dalla tasca – è ben vestito – una banconota da centomila lire e, sorseggiando il caffè, mi dice: Lo tengo in canna. E fa un gesto come a voler tagliare una testa. Non la sua.

È un ricordo che mi prende sempre nei giorni che precedono il Natale. Insieme ad un altro. Un fatto che mi era capitato poche ore prima. Mi piace – sarà che nel sangue ho la povertà degli avi – la dispensa ben piena. Ma un giorno la baby sitter di mia figlia s’era trovata senza una pastina ed era scesa di qualche piano per chiederla ad una signora del palazzo, a me sconosciuta. Sapevo che l’uso delle condomine, in simili casi, era restituire l’equivalente. Ma ridare un pacchetto di pasta mi sembrava misero. Così, avevo lasciato correre, con l’idea di farle un omaggio a Natale. E quella mattina m’ero presentata con una bella orchidea. La signora aveva aperto il portone e lì, sulla soglia, s’era messa a piangere. Nessuno mi ha fatto un regalo così.

S’impara sempre. Un detto calabrese che amo recita: A vecchia avia 100 anni e ancora ‘nsignava, dove “insegnava”, vuol dire “imparava”. Quel giorno, del dolore – diverso – del cuore ho imparato parecchio.

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