Un amico, Giuseppe Laganà, ha organizzato un momento di “ecumenismo popolare. Dopo più di 300 anni l’Ortodossia è tornata a pregare, insieme ai Cattolici, dove è stata presente per 500 anni”. Con il parroco cattolico di Santa Maria del Lume di Pellaro, i monaci ortodossi di Stilo hanno celebrato “il Panegirico, l’Artoclasia (Benedizione del pane, vino, olio e grano) e la venerazione della Sacra Icona di San Filippo ‘Cacciaspiriti’”, nei ruderi di una chiesa già ortodossa non lontanissima dal Castello di Sant’Aniceto.
Iniziativa importante, che si inserisce in una trama di recupero della storia, fattuale, culturale, spirituale del territorio, sicuramente da plauso: forte, sincero e augurale per nuove, ripetute, consimili iniziative.
Le considerazioni cui mi porta, come mi portano spesso fatti ed eventi di quel territorio sono, però, relative anche all’estrema frammentazione dello stesso.
Sono nata e cresciuta a pochi chilometri dalla chiesa/rudere in questione, ma non ho mai avuto alcuna percezione di precedente presenza orientale/ortodossa sulla mia “fetta di Calabria”, nel triangolo di terra in cui si è svolta una parte della mia vita. Ma non perché sono stata disattenta, miope ecc. Piuttosto perché non mi pare proprio ce ne sia traccia (L’unico riferimento che potrei trovare è che una mia prozia si chiamava Teodora, ma, appunto, era di Motta, non di Pellaro).
A differenza di persone della Locride conosciute da adulta e più che adulta, non ho, perciò, mai avuto motivi di sentirmi “orientale”: mi sono percepita magnogreca (elemento che fa ancora parte di me), ho riconosciuto facilmente le tracce della romanità che ha segnato il “mio” territorio (ripeto: a poca distanza da quello di San Filippo), non mi sono mai avvertita neppure lontanamente erede della fase bizantina della Calabria. (A Reggio, talvolta, andavo nella Chiesa dei Cattolici dei Greci, dove si pregava come nelle altre e dove – ma ero già non lontana dalla laurea – partecipai all’ordinazione sacerdotale di un conoscente che diventava prete cattolico di rito bizantino).
Considerazioni personali che terrei per me, se non pensassi che, appunto, nella storia della Calabria pochi chilometri hanno segnato realtà molto diverse. Recuperare tutte le tessere del mosaico, con tutte le sfumature di colori, sapere da dove veniamo, che cammino abbiamo fatto, è importante. Per sapere dove arrivano le nostre radici, ma, soprattutto, per affrontare meglio un mondo, globalizzato e complesso, in cui la nostra (di tutti) prima, identità "minima" non può che essere l’Europa.