Da "Resistenza e resa", lettera da Tegel di Bonoeffer ai genitori nell'imminenza della Pasqua |
A Occhio, la chiesa era una sorta di cappellina
dedicata alla Madonna dell’Abbondanza: che, con suo manto nero (almeno, io lo
ricordo così) e il suo fascio di spighe in braccio, non era lontana da una
Demetra e, soprattutto, era pressoché identica alle donne del paese. Madre e
sorella delle contadine che pregavano Ave
Maria, grazia prena. Distorcendo il latino (la lingua in cui pregavano
allora tutti, anche gli analfabeti), il plena
(piena), diventava prena (incinta:
usato, indistintamente per donne e mucche), che, a pensarci adesso, altro che
errore: incinta di grazia è
decisamente di più che piena di grazia.
Il Rosario si concludeva con il Salve
Regina, che, nel mio ricordo, suona con il ritmo italiano del dopo Concilio,
quando ormai c’era una chiesa parrocchiale, più grande e moderna di quelle della
zona, e, il Giovedì Santo, il Sepolcro (che solo dopo molti anni divenne altare
della Deposizione) traboccava di grano: una delle immagini della mia infanzia
di cui sono più grata. Nessuno, in quella società che restava contadina, anche
se accennava a diventare qualcosa di diverso, dubitava che stavamo, come recita
il Salve Regina, in una valle di lacrime.
Una frase che, crescendo, ho sentito, più
di una volta presa in giro: come di un’evidente stupidità di fronte ai piaceri
e alle felicità della vita. Una presa in giro meritata per una sorta di dolorismo cattolico (che, nel corso
degli anni è scomparso), eppure sbagliata.
Questo particolarissimo Venerdì
Santo dà evidenza al nostro essere creature fragili, dall’esistenza sempre in pericolo,
immersi in un mondo in cui non c’è istante in cui il pianto di tantissimi non
sia un’onda più alta di quella dei nostri oceani.
Che si speri o no in una
Resurrezione, c’è un compito che dovrebbe accumunare tutti: asciugare le
lacrime, diminuire il dolore che si può diminuire (quello provocato dalle
ingiustizie storiche, dei sistemi
politici ed economici), rispondere ad ogni segno di morte con un di più di
vita. (Che nulla a che fare con la dissipazione
dell’esistenza e molto col suo orientamento a ciò che è bello e buono)
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