Nel giro di quindici
giorni, una Pasqua e un 25 aprile, carichi come mai della contraddizione tra
ciò che stiamo vivendo, col suo carico di dolore, stanchezza, preoccupazione, e quello che esprimono, la gioia della rinascita, hanno accentuato malinconie ed attese, angosce e speranze.
Rinasceremo come umanità,
come Europa, come Italia?
Rinasceremo come cristiani?
Rinasceremo come singole
persone?
Saremo, probabilmente,
come spesso accade passata una tempesta, quelli che eravamo: un po’ migliori,
se eravamo persone decenti, un po’ peggiori, se eravamo persone indecenti. In
tutte e due i casi, segnati da un trauma che non passerà presto.
Ci sono problemi da
affrontare prima di subito. La scuola, per esempio. La necessità di mettere in sicurezza gli edifici
scolastici e trovare adeguate modalità di trasporto per rendere possibile la
riapertura a settembre. E la necessità di revisionare metodi e contenuti, facendo tesoro di quanto la pandemia ha
insegnato su come rinnovare, rendere vivo l’apprendimento, tarandolo sui complessivi bisogni di crescita dei ragazzi.
Per le persone della mia
età, si annunciano forme di “tutela”, di “protezione”: eufemismi per un sostanziale “restate a casa”.
Scatterà la rabbia? Il
senso del ridicolo (dal Presidente della Repubblica al Papa, quanti “vecchi” in
circolazione) ridimensionerà la cosa? O una generazione intera tirerà i remi in
barca prima di quanto s’aspettasse e, allenata al ritiro dal mondo di questi mesi,
si isolerà nel proprio depresso o dorato, angolino?
Nessun commento:
Posta un commento